Uomini e cavalli, tante storie curiose in un film islandese
Una valle islandese, tra le montagne, dove le case sono distanti tra loro centinaia di metri, ma la gente non rinuncia a voler sapere tutto degli altri e mette così mano ai binocoli. In questo gelido scenario si svolge l'opera prima di Benedikt Erlingsson, Storie di cavalli e di uomini, in sala dal 19 novembre con Pfa Films, dove si fondono con gusto ironia, rivalità e ovviamente lo stretto rapporto che c'è tra uomini e natura.
Tra le storie raccontate quella di un ubriacone che cavalca il suo cavallo fulvo in un gelido mare fino ad arrivare a una nave per rifornirsi di vodka; quella di un giovane che si rifugia nel ventre del suo cavallo per sopravvivere a una tormenta di neve e, quella più curiosa, con protagonista uno stallone che monta una giumenta bianca da lui da tempo desiderata senza curarsi troppo dell'imbarazzo del suo padrone che assiste a tutto ancora in sella. E, infine, c'è la storia di Grimur che ha una passione smodata per le antiche mulattiere, una cosa che va in conflitto con la mania di Egill per recinzioni e filo spinato.
Candidato per l'Islanda all'Oscar 2014 e vincitore di sei premi Edda del cinema islandese (tra cui miglior film e miglior regista) e di numerosi riconoscimenti internazionali, il film, ha spiegato il regista al Festival di Bari, «è stato visto da qualcuno animato da humour nero, in inglese si chiama understatement: è il modo che noi islandesi abbiamo per rappresentare il nostro paese. Volevo raccontare più storie interconnesse fra loro, mantenendo un distacco dai personaggi. Non c'è immedesimazione, lo spettatore rimane distante per avere una visione d'insieme. Altre fonti d'ispirazione sono Pasolini con il suo Decameron e poi I racconti di Canterbury, in cui personaggi diversi sono uniti da un solo tema».
E ancora, il regista esordiente ed ex attore: «La base principale del film è la coesistenza tra homo sapiens e cavallo. Non ero interessato a raccontare un microcosmo culturale, bensì la natura umana. Quanto più le persone stanno in uno spazio grande, a distanza le une dalle altre, tanto più vogliono sapere tutto degli altri. Nelle grandi città - conclude Benedikt Erlingsson - è il contrario, gli spazi sono affollati ma c'è solitudine. La figura femminile è propria della mia cultura, le donne sono forti, è una società quasi matriarcale, e questo si rispecchia anche nei cavalli: la giumenta comanda»
(fonte ANSA)























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