Uomini e cavalli, da millenni un percorso ininterrotto
La scuderia: il tempio dove noi cavalieri, appassionati, dimentichiamo tutto il resto del mondo. Non esistono più altre urgenze o necessità, quando si varca l’ingresso della scuderia si accede ad un universo parallelo. La passione per il cavallo nasce inspiegabilmente, quando si viene colti dal fascino della sua bellezza. La bellezza del cavallo è nell’armonia delle sue forme, ma è anche nel contrasto tra la sua presenza solenne e imponente e il suo istinto di fuga. Un essere capace di grande gentilezza; chi li conosce , lo sa, la grazia che può avere nell’avvicinare un bambino, o selezionare un filo d’erba, e la potenza di un calcio, o la forza di un morso.
La passione per i cavalli è un grande dono, ma al tempo stesso un tormento. Scegliere di vivere profondamente il rapporto con il cavallo significa anche implicitamente accettare di poter attraversare delle zone d’ombra. Il cavallo è uno specchio che ci mette di fronte a noi stessi, alle nostre insicurezze, alle nostre paure, così come ai nostri sogni. Ci si trova in bilico tra il bisogno del controllo e la voglia di lasciarsi trasportare. Il controllo può essere necessario ma l’uomo tende a esagerare, carica le situazioni delle sue emozioni e in questo modo si allontana dallo spazio di relazione. Se si cerca la fiducia, invece, accettando di abbattere le barriere di protezione mentali che costruiamo tra noi e il cavallo, si può accedere a una comunicazione così profonda che va oltre le aspettative.
Quel senso di meraviglia, come potrebbe esprimerlo un bambino, che scaturisce dentro di noi quando guardiamo davvero un cavallo, con gli occhi del cuore, è requisito fondamentale nella ricerca di una relazione autentica col cavallo.
Quel carisma che giunge a noi immutato proprio come lo colse quell’uomo -o donna- primitiva, nomade, che più di 25.000 anni fa lo ritrasse nella grotta di Pech Merle, non lontano da Tolosa. In questa pittura rupestre è raffigurato un cavallo « radiante » , i pomelli del mantello formano quasi un’aura, forse una ricerca dell’artista di dare una prima idea di movimento. Da qui in avanti, nelle successive epoche, l’uomo continuerà a ritrarre il cavallo come a voler rendere sacro questo sodalizio, bloccandolo in immagini. Un soggetto, il cavallo, con una tale potenza espressiva che esce dai margini della composizione.
Come se il cavallo permettesse di accedere a una dimensione superiore, divina. Si accende nell’uomo il desiderio irrefrenabile di possedere quest’animale, di farlo suo, di cavalcarlo. Non ci è dato sapere come andò questo primo incontro e il primo approccio, probabilmente senza esclusione di colpi. L’uomo lo avrà guardato, e pensato: « io monterò sul cavallo e andrò con lui ». Non sapeva ancora che c’era di mezzo la volontà di un altro essere vivente, dal punto di vista biologico una preda, con paura e istinto di fuga molto marcato. E quando se ne accorge, comincia a farsi delle domande, a cercare delle soluzioni, a sperimentare.
E di questa sperimentazione si trovano presto testimonianze scritte, la più importante risale al 350 a.C circa, ed è « l’Arte della Cavalleria » di Senofonte. Il primo trattato equestre del mondo occidentale. In quest’opera viene trattata la selezione, la gestione e l’addestramento dei cavalli, sia per l’uso militare che per lavoro. Senofonte delinea le caratteristiche che deve avere un buon cavallo, sia fisiche che psicologiche, e descrive un metodo di addestramento basato sulla relazione e sul rispetto dell’animale, col fine di renderlo collaborativo senza coercizione. Passerà parecchio tempo però, prima che questi presupposti così solidi e lungimiranti abbiano un seguito.
Il Medioevo è un’epoca in cui ci si fa poche domande, e si usa prevalentemente la forza. Il cavallo è ovunque, nel medioevo. Trattato rudemente ma protagonista di un periodo storico dove inizia a distinguersi la figura del cavaliere errante, figlio cadetto che per vivere doveva combattere e spostarsi, condividendo la natura nomade del suo cavallo. Un cavallo dalla struttura molto pesante, in grado di portare la propria armatura e quella del cavaliere. Sono gli anni dei tornei, in cui i cavalieri si cimentavano per mostrare la loro abilità, c’era ben poco di agile e leggero però, anzi, si trattava di uno scontro tra carri armati, spesso mortale. I cavalli erano così tanti e dovevano essere sempre a disposizione, venivano stabulati in stalle sporche dove rimanevano per la maggior parte del tempo, e questo comportava il deterioramento dello zoccolo. Fu necessario cominciare a ferrarli, per queste ragioni, in modo non molto diverso da come avviene oggi. Il cavallo diventa sempre più interessante non solo come mezzo per lavorare e fare la guerra, ma anche come simbolo di potere. Deve quindi essere sempre più bello e dotato, e per questo comincia a profilarsi la necessità di una selezione.
Proprio in Italia si sviluppano prestigiosi allevamenti, come quelli del regno di Napoli e dei marchesi di Mantova. Prendono qui parte delle loro origini razze nobili quali il Lipizzano e il futuro purosangue. Siamo nel Rinascimento, in Italia , e come avviene per tante altre arti anche l’equitazione raggiunge un livello di estrema raffinatezza tecnica e vengono stampati i primi trattati. Arte equestre che richiedeva studio approfondito e pratica, tendente a un ideale di perfezione. Questo diventa naturalmente parte dell’educazione del nobiluomo. In una delle opere fondamentali del Rinascimento, « Il libro del Cortegiano » Baldassare Castiglione spiega che il moderno gentiluomo di corte deve essere un perfetto cavaliere, capace di superare tutti per l’abilità con la quale esegue i diversi esercizi cavallereschi. Soprattutto, però, deve essere capace di compiere tali esercizi con grazia , ovvero sapendo dissimulare le difficoltà e lo sforzo richiesto dalle imprese più ardite. Serviva per questo una grande competenza, sorgono infatti le Accademie, prima a Napoli, poi in altre corti europee, specialmente in Francia, grazie al buon nome dei maestri italiani. Alcune di queste accademie esistono ancora e sono visitabili, una traccia di quest’epoca si può vedere a poca distanza dal Friuli-Venezia Giulia, in Slovenia, a Lipica.
La letteratura equestre rinascimentale è il fondamento dell’equitazione moderna ed è molto cara a noi appassionati di equitazione di tradizione proprio per la ricerca della leggerezza, quell’ « andare insieme al cavallo » all’unisono, senza sforzo apparente, con equilibrio e grazia. Un ideale di perfezione, basato su ragionamento logico, esercizio virtuoso, che permetteva di rendere il cavallo appariscente e spettacolare quanto in natura, ma con in sella il cavaliere. Niente di più nobile e aristocratico di questo, che diviene la disciplina e lo stile di vita del Maître Écuyer, un termine intraducibile in italiano, che potremmo rendere equiparandolo a Maestro d’armi, solo che si interessa di cavalli.
Dato che si parla di Rinascimento, e di arte, mi piace fare un esempio figurato dell’addestramento del cavallo: come lo scultore , per realizzare una sfera, parte da un blocco di marmo cubico, anche il cavaliere inizia il lavoro su un cavallo grezzo, difficile da maneggiare, spigoloso. Con perizia si smussano tutti gli spigoli per arrivare alla sfera, che posso muovere col palmo della mano in tutte le direzioni. Il cavallo viene così reso « destro », ovvero dritto, quindi con un equilibrio muscolare tra i due lati del corpo. Un cavallo che gira in equilibrio ad entrambe le mani. In virtù di questa ginnastica, diventa più bello e più sano. Ecco un contributo importante che l’uomo offre al cavallo durante questo percorso storico: non solo protezione e sostentamento ma anche sviluppo armonico delle sue forme.
Nel ‘700 si afferma in Europa l’equitazione accademica, che è essenzialmente un’equitazione di maneggio con tutti i suoi canoni stilistici abbastanza rigidi. Oltre Manica, però, negli stessi anni qualcosa sta cambiando, come si può notare da alcuni dipinti del periodo. Il cavallo inglese ha caratteristiche molto diverse rispetto ai cavalli barocchi ritratti nei maneggi delle accademie europee. Sempre più sottile e nevrile, estremamente elegante, richiede un assetto più leggero e finimenti adeguati.
In Inghilterra la rivoluzione industriale porta nuovi modelli a cui ispirarsi. Il cavallo rimane certamente molto amato dalla nobiltà ma col passare del tempo diventa il passatempo preferito della borghesia, nuova classe emergente. C’è un crescente interesse per le corse di cavalli e attorno ad esse si incrementano il commercio di cavalli, l’allevamento, e le professioni legate alla cura e al mantenimento dei cavalli. Si genera in somma una vera e propria economia di settore, sia per i premi distribuiti sia per il volume delle scommesse. Il purosangue diventa il cavallo di moda nel continente e molti appassionati cominciano a recarsi in Inghilterra per comprare questi cavalli. Il primo cavallo su cui imparai a montare era un purosangue ritirato dalle corse. Per rendere l’idea di cos’è un purosangue, rispetto a un cavallo "normale" , direi che è troppo. Troppo bello, troppo nervoso, troppo magro, troppo fine , troppo delicato, troppo veloce. L’ippodromo quindi diventa per i ricchi un luogo mondano dove fare sfoggio di abbigliamento alla moda, dove distinguersi. In Inghilterra anche oggi gli ippodromi sono divisi in enclosures, con rigidissimi dress code per accedere alle aree di rango elevato, ma sempre anche aperti al popolo, nelle zone a ridosso del recinto, per permettere a tutti di vivere la passione del cavallo. Col purosangue si sviluppa un’equitazione diversa, più moderna, minimale anche nei finimenti, e soprattutto praticata in campagna, dove per la caccia alla volpe si saltano fossi e siepi. La famosa monta all’inglese e quello stile di abbigliamento inconfondibile che sarà di gran moda nel secolo successivo.
Si ringrazia Giovanni Battista Tomassini - www.worksofchivalry.com