Un'opera preziosa su Piero e Raimondo D'Inzeo, un patrimonio per l'equitazione
Il sottotitolo recita: "Piero e Raimondo: due fratelli, una leggenda". E così viene subito in mente che le leggende sono figlie della tradizione orale: ogni narratore, a seconda della propria memoria, convinzione e formazione, toglie o aggiunge episodi e significati, cucendo il racconto a misura del proprio abito mentale. Ma ora, grazie al monumentale lavoro di Umberto Martuscelli, la leggenda è divenuta una realtà solida e concreta. Come a dire "verba volant, scripta manent". Perché il suo doppio volume "D'INZEO" si candida a diventare un riferimento imprescindibile per chi intende raccontare la storia dell'equitazione italiana.
Umberto Martuscelli è un giornalista conosciuto per la propria passione e competenza, cui si aggiunge una rara e meritevole vocazione documentaria: dietro questo suo lavoro ci sono anni e anni passati sui documenti di gara, negli archivi, nelle emeroteche. Il primo volume narrativo racconta la vita dei due fratelli dalla nascita al trionfo, chiudendo con le Olimpiadi di Roma del 1960: sono 687 pagine che si leggono al galoppo e che delineano tutte le vicende della nostra equitazione dagli anni '20 ( ma Martuscelli dedica spazio anche alla rivoluzione caprilliana di inizio secolo) fino al trionfo olimpico. Neppure una fotografia, se non quella della copertina. Ma la squisita qualità della parola (quando c'è. E qui ce n'è moltissima) è capace di raccontare, analizzare, rivelare e far comprendere.
Il grande racconto di Martuscelli allarga lo sguardo e incastona la vicenda di Piero e di Raimondo D'Inzeo nella complessa realtà di una equitazione che era stata soprattutto militare e che nel secondo dopoguerra si avvia a diventare eminentemente civile. E la relazione sullo "stato delle cose" redatta nel '54 dall'allora Presidente della Fise Ranieri di Campello che - guardando molto avanti nel tempo - si dice seriamente preoccupato per il futuro sportivo dell'Italia (relazione di cui Martuscelli giustamente riporta un lungo paragrafo) la dice lunga anche sulla indispensabile preveggenza che ogni buon Presidente (che abbia una carica sportiva, amministrativa o politica) deve avere, senza indulgere a frettolose ricerche di immediato consenso.
Tornando al libro, è davvero appassionante il racconto dell'avventura umana e agonistica dei due fratelli delineata da Martuscelli con grande partecipazione, ma senza scivolare nella retorica. Piero il cavaliere metafisico, Raimondo l'interprete funambolico. Il primo con un carattere talvolta difficile, il secondo con una vocazione più affettuosa. Fratelli, certo rivali, ma comunque fratelli. In questo senso le pagine che riguardano la prima edizione del Campionato del Mondo che si tiene nel '53 sono davvero illuminanti: la scelta di fermare Raimondo e di privilegiare Piero, la rabbia di Raimondo che si disfa di Merano e subito dopo si pente, ma che non è in grado di ricomperare il suo "Nano" (nome con cui apostrofava il cavallo, piccolo e temperamentoso, nato nell'allevamento di Morese), la decisione della Fise di riacquistarlo... sono pagine che si leggono d'un fiato.
Resta, a lettura finita, il rammarico di non trovare, alla fine di un'opera del genere, un indice dei nomi (che speriamo di vedere in calce al secondo volume narrativo, destinato a concludere l'epopea dei D'Inzeo e annunciato per il 2019) in cui sarebbe bello venissero ricordati anche i nomi dei cavalli. Dei quali (ecco il secondo rammarico) sarebbe stato interessante conoscere più diffusamente il destino a loro toccato dopo le meravigliose performances che li hanno visti protagonisti.
Bellissimo anche il monumentale libro fotografico curato da Martuscelli e da Vittoria Smania: oltre 550 pagine di immagini, adeguatamente commentate in italiano e in inglese, "coprono" tutta la vita dei due fratelli, da quando il loro padre Carlo Costante D'Inzeo saltava "caprillianamente" una automobile, fino ai trionfi mondiali, e alla loro vecchiaia. Per non parlare delle foto dei cavalli più celebrati, di quelle della vita familiare, e di certi tremendi, spettacolari "cazzotti" (ovvero cadute)
Solitamente chi vuole scrivere di equitazione si accontenta di raccogliere delle foto, magari celebrate e bellissime, aggiungendo qualche didascalia, e una breve introduzione ad inizio del volume. Forse - l'osservazione è maliziosa ma fondata - si privilegia l'immagine per evitare di misurarsi con la prova della scrittura.
Martuscelli fa una scelta del tutto diversa: scrive tutto quel che c'è da scrivere e raccoglie tutte le immagini disponibili, costruendo un efficacissimo "binomio", e consegnandoci - grazie alla Fondazione Vittorio Orlandi, che ha meritoriamente voluto e finanziato il progetto - un'opera preziosa. Ma che - proprio per la qualità dell'intera operazione - torna ad aprire un' antica, irrisolta questione: l'assoluta mancanza di attenzione - organica e non episodica - che la Fise ha sempre avuto riguardo alla diffusione della storia e della cultura equestre italiana. I nostri cugini francesi sono bravissimi a celebrare ogni loro piccolo o grande respiro equestre con libri, mostre, convegni, ricerche incoraggiate e sostenute da Saumur. In Italia noi abbiamo degli autori che non hanno trovato alcuna piattaforma federale per lanciare le loro opere: penso a Giovanni Battista Tomassini e al suo bellissimo "Le opere della cavalleria", dedicato all'equitazione classica. Penso al prezioso "Equus frenatus" sui morsi della collezione Giannelli. L'elenco potrebbe continuare a lungo. Non è possibile che la diffusione del segno e del senso della equitazione italiana - che, come sostiene lucidamente Mauro Checcoli, vincitore di due medaglie d'oro olimpiche e fondatore dell' Accademia Caprilli, è un elemento fondativo del futuro e non un ricordo del passato - sia interamente affidata alla buona volontà di privati. Insomma, a quando un centro studi della Fise, che funzioni per davvero e non sia una semplice, vuota, etichetta?