Un castagno millenario, cento cavalli e.....
E’ conosciuto da sempre così, con questo nome: il Castagno dei Cento cavalli. L’Unesco l’ha dichiarato, nel 2006, “Monumento Messaggero di Pace”. E’ il più grande d’Europa, se non del mondo. Dimensioni immense. Del resto, con alle spalle tre, forse anche quattromila anni di vita, come sostiene chi è, giustappunto, del ramo, ne ha avuto di tempo per inabissarsi in radici sempre più profonde, accavallarsi in secolari ondate di fronde, elevare con sé lo spirito di ogni tempo fino farsi ponte fra terra e cielo.
Lo trovi a Sant’Alfio, in provincia di Catania. Da ovunque tu lo voglia guardare, ti si staglia davanti con la potenza di un inarrivabile orizzonte. E capisci subito che se non fosse vero, sarebbe leggenda. Perché questo esplicito riferimento ai cavalli? E qui arriviamo al punto: mescola storia e leggenda e dal fondo del tempo vedi emergere giochi d’ombra che soffiati da fantasie millenarie si depositano, come pietruzze, a comporre il mosaico del nome.
Storia e leggenda: Giano Bifronte delle vicende umane. L’una annoda il tempo a misura d’uomo, l’altra lo scioglie in eternità. Entrambi si intrecciano in magie di memorie che rivestono di umanità l’inaudito. E tanto basta all’incredibile per aspirare al vero.
Eccolo, allora, il Castagno ed eccoli i suoi Cento Cavalli.
Era una notte buia e tempestosa -copyright Snoopy – quella che colse Giovanna d’Angiò, Regina di Sicilia, sulle pendici dell’Etna. Scortata dai suoi cento cavalieri, si era dimenata per l’intera giornata in una frenetica, sfrenata, a momenti convulsa, battuta di caccia, come se dentro fosse divorata il sacro fuoco di Diana Cacciatrice. Era fatta così l’irrequieta donna che si nascondeva sotto i paramenti di regina. Di tutto ciò che voleva, niente aveva limite e misura; di tutto ciò che le piaceva non si saziava mai. Una disinvoltura che nessuno avrebbe osato, pena la testa, chiamare lussuria. A corte, però, si mormorava. E spesso, molto più spesso, cioè sempre, se ne sparlava con il muto linguaggio degli sguardi. Che non le sfuggivano, anzi sembrava sollecitarli alimentando l’indicibile: una scorta di cento cavalieri che non ha neanche il re…e allora? Se voglio la faccio diventare dieci volte tanto. Cosa ci faccio? Provate a chiederlo a loro: sentirete la stessa risposta in cento modi diversi. Cosa vuol dire? Neanche immaginate cosa possa voler dire!
Quella notte di bufera, dunque, Giovanna avrebbe continuato, senza pensarci neanche mezzo secondo, la forsennata corsa appresso a reali, o fantomatiche, poco importa, prede fino allo sfinimento e oltre. E i cavalieri della scorta, pur lessati nella morsa dell’armatura, l’avrebbero comunque seguita anche in quell’oltre. Se non che……Ad un tratto la regina si accorge di essere sola. I suoi cento uomini spariti con i loro cavalli. Avverte, da lontano, un vago scalpitio di zoccoli: sembra un richiamo, cui risponde come attratta da una calamita. Torna indietro, li vede ma non capisce ciò che vede: ogni cavaliere è in sella al proprio cavallo con le redini abbandonate sul collo.
Appena lei si avvicina, i cavalli, non più incolonnati ma in compatto branco, si avviano, senza guida. Sanno dove andare. In fondo alla radura c’è il rifugio. Un tronco cavo di castagno che è lì dal tempo dei tempi. Entrano tutti e cento e si dispongono a semicerchio lungo pareti arboree che si innalzano come quelle di una cattedrale. Giovanna smonta da cavallo e si libera del pesante mantello grondante acqua e fango. Concede ai cavalieri di smontare le armature. Il mattino dopo solo i cento cavalli sapranno dire di quella notte al riparo del castagno. E lo diranno quando…verrà il tempo del Giudizio.