The rider, un film sul grande spirito dei cavalli !
Chi ama il cinema e i cavalli non può perdere questo film, appena uscito in Italia. Un film che ha tempi lenti, lunghi silenzi abitati, che non ha nulla di roboante nonostante si occupi della difficile esistenza di un campione di rodeo. Ma che inchioda lo spettatore a seguire l'odissea del protagonista, sbalzato di sella e operato alla testa prima ancora che la storia abbia inizio. Il titolo è secco: “The rider”, cui il distributore italiano ha aggiunto un sottotitolo, “il sogno di un cow boy”. “The rider” è diretto da una regista Chloé Zhao, nata in Cina, andata adolescente a studiare in Inghilterra e poi approdata negli USA, dove ha girato alcuni cortometraggi e un primo film intitolato “Song My Brothers Taught Me”, girato nella riserva Sioux di Pine Bridge, nel South Dakota: una piccola storia familiare, che indaga sui progetti e le rinunce di un ragazzo d'una riserva indiana che vorrebbe trasferirsi a Los Angeles, ma che non ha il coraggio di lasciare la sorella tredicenne, rimasta sola dopo la morte accidentale del loro padre.
Durante le riprese del suo primo lungometraggio Chloé ha incontrato Brady Jandreau, giovane Sioux, addestratore di puledri, che è diventato il protagonista di questo suo secondo film, “The rider”, presentato a Cannes, al Toronto film festival, al Sundance film festival fondato da Robert Redford. Questo piccolo film indipendente a bassissimo budget è diventato un caso, ha incassato più di due milioni di dollari soltanto negli USA e ora sta facendo, meritatamente, il giro del mondo.
Cosa accade a un ragazzo che, come i pochi sopravvissuti nativi americani, è figlio di una cultura cancellata? Che dunque - come molti coetanei nella stessa condizione - sa rapportarsi felicemente soprattutto con i cavalli verso i quali lo spinge quell'antica armonia fra uomo e natura che è patrimonio dei nativi americani, ma che egli usa come personale arma di riscatto? Un ragazzo che non ha avuto occasione di fare molte scuole, che sa soltanto domare puledri selvaggi ( e sono molto belle le sequenze del primo contatto con uno stallone che non tollera l’uomo e che pian piano si fa convinto ad accettare l’approccio non violento che gli viene offerto) e che nel rodeo, di cui è una promessa, trova la propria rivalsa di giovane uomo in un paese che non fa sconti a nessuno. Brady, come altri nativi, monta indossando un classico cappello Stetson, a cui è però attaccata una piuma d'aquila, come facevano i suoi avi. Una penna che segnala la sua doppia identità, la sua non totale appartenenza a un mondo o ad un altro.
Quando, dopo l’incidente, gli viene detto che dai cavalli dovrà stare lontano, Brady inizia una lunga, faticosa, dolorosa elaborazione, fatta di silenzi e di ribellioni. Tanto che il suo primo gesto è di comperare per due soldi un cavallo, Apollo, considerato immontabile, e che con lui mostrerà nuove dolcezze. È ad Apollo che Brady chiede conforto delle lunghe giornate passate a fare il commesso in un supermercato. È al cavallo che racconta della nuova, sopraggiunta estraneità agli amici che continuano a montare. È ad Apollo che chiede la forza di andare a trovare un giovane campione di rodeo, divenuto muto e tetraplegico per una terribile caduta (ruolo interpretato da un vero campione ormai gravemente paralizzato. E il piccolo video che lui guarda, rivedendosi mentre era un ragazzo sorridente, premiato e vincitore è davvero straziante). Non staremo a raccontare come si legano e si allontanano le vicende del protagonista e di Apollo. Quel che va sottolineato è come il film abbia moltissimi livelli di lettura: nella sua crudezza “The rider” ragiona su temi fondamentali della condizione umana: identità, idea della virilità, antispecismo, spiritualità. Senza alcuna vocazione consolatoria, mettendo in scena non attori, presi dalla riserva indiana, “The rider” chiede allo spettatore un sorvegliato abbandono. È facile farsi portare dalla bellezza dei paesaggi, ma è altrettanto fondamentale non cedere al sentimentalismo, che in questo film non ha mai diritto di cittadinanza. La domanda che Brady si pone riguardo al destino di Apollo, mettendolo in contrapposizione con il suo, è una domanda squisitamente etica, politica che riguarda quanti guardano agli animali sentendoli portatori di diritti. Una domanda sul futuro dell'umanità, sul suo imprescindibile rapporto con l'animalità.
Possibile ragionare di tutto questo in un film che è costato ben poco, che è interpretato da attori non professionisti (durante le riprese il protagonista ha continuato il suo lavoro di addestratore) e che ha come ambiente il rodeo? Ebbene sì. Questo ha saputo fare la regista e sceneggiatrice Chloé Zhao. A cui la Marvel ha già affidato la regia di un film di supereroi. Tutti i nostri auguri, nella speranza che non perda il suo tocco davvero unico di regista intensa, minimale, mai banale.