Storia del "cavallino rampante" e dell'uomo che lo fece volare
C'è un cavallino che è volato sullo schermo, nei nostri cieli e ancor oggi corre velocemente per le strade del mondo. Non è il mitologico Pegaso - di cui avremo da dire: è la sigla della casa di distribuzione cinematografica TriStar - ma il cavallino rampante della Ferrari. La cui immagine ha una storia avventurosa e immortalata dal cinema. Un film del 1936 di Goffredo Alessandrini - il più "americano" dei registi italiani, per il suo stile epico ma asciutto, spettacolare e avvincente - narra la storia di quel simbolo. Il suo titolo è Cavalleria e fu presentato al festival di Venezia nel 1936. Protagonista un giovane attore alle prime armi, che diverrà poi un amatissimo divo del nostro cinema fino agli anni Sessanta: Amedeo Nazzari, scelto da Alessandrini per interpretare il personaggio di Francesco Baracca, ufficiale di cavalleria poi passato in aviazione e abbattuto nei cieli della prima guerra mondiale.
Che i cavalli siano imprescindibilmente legati al mondo della meccanica è cosa nota: fino a pochi anni fa la potenza delle auto veniva indicata con i cavalli-vapore. Quell'unità di misura venne concepita come l'equivalente della potenza sviluppata da un cavallo al galoppo. I tecnici spiegano che, nonostante si creda il contrario, la potenza di un cavallo-vapore è decisamente inferiore a quella di un purosangue in corsa. Ma per riferire le loro spiegazioni finiremmo fuori tema. A noi interessa la storia del cavallo di Francesco Baracca. E soprattutto il film di Alessandrini, che si ispira alle sue gesta, pur reinventando il nome del protagonista e ribattezzandolo Umberto Solaro (allora non esisteva la formula "Liberamente ispirato alla vita di..."). La storia del film ricalca quanto realmente accaduto, dando però agli avvenimenti un risvolto amoroso, sentimentale. Le cronache raccontano che Baracca, dopo essere stato cadetto all'Accademia Militare di Modena, uscendone come sottotenente, aveva frequentato un corso di perfezionamento alla scuola di cavalleria di Pinerolo, per poi essere assegnato al Secondo Reggimento di Cavalleria Piemonte Reale di stanza a Roma. Lo stemma araldico del reggimento porta un cavallino rampante argenteo, su campo rosso. Con quello stemma sulla copertina sottosella del suo cavallo, Baracca vince a Tor di Quinto parecchie gare di equitazione. Nel 1912, affascinato da una esercitazione aerea presso l'aereoporto di Roma (che allora era a Centocelle), passa in aviazione e viene spedito in Francia a prendere il brevetto di pilota. Baracca, che era un indubitabile fegataccio, si distingue per le sue qualità acrobatiche e quando nel 1915 l'Italia entra in guerra, eccolo in squadriglia. Con un aereo sulla cui fiancata fa dipingere, come ogni aviatore, il proprio stemma personale: un cavallino rampante. Rispetto all'immagine del reggimento ci sono due differenze: il cavallino ha l'incollatura girata verso destra e non verso sinistra. Ed è nero e non argenteo, per disegnarsi meglio sul grigio della fusoliera. Diventa presto un asso temutissimo. E quando gli capita di incontrare a terra i nemici abbattuti, va cavallerescamente a stringere loro la mano sostenendo "E' all'apparecchio che io miro e non all'uomo". Verrà abbattuto il 19 giugno del 1918, cinque mesi prima della fine del conflitto. Proprio cento anni fa.
Inevitabile che un personaggio del genere divenisse un eroe cinematografico. Alessandrini - che pure sarà il regista di Luciano Serra pilota - non è incline ai trionfalismi del Ventennio. A guardar bene la sua filmografia, ci si accorge che racconta soprattutto di sconfitte. Anche quella di Umberto Solaro è una sconfitta: sentimentale, poichè la giovane donna di cui è innamorato, pur ricambiandolo, viene destinata dalla famiglia a un nobile austriaco, le cui ricchezze salveranno un blasone compromesso dai debiti. A spingere il protagonista di Cavalleria verso l'aviazione è anche la morte in una gara di equitazione dell'amatissimo cavallo Mughetto. Per buttarsi questo mondo alle spalle, Solaro diventerà un cavaliere dei cieli, portando fra le nuvole l'immagine del cavallino rampante.
Per prepararsi a quel ruolo - prima aveva interpretato solo una piccola parte in un brutto film intitolato Ginevra degli Almieri - Amedeo Nazzari passò due mesi a Pinerolo, dove imparò i primi rudimenti dell'equitazione, che poi praticò tutta la vita. Non contento della qualità dei costumi, spese quasi tutti i soldi guadagnati - era un esordiente, non aveva un cachet molto alto - per farsi fare su misura le divise del Piemonte Reale.
E il cavallino rampante? Come spiccò il salto dalla fusoliera di un aereo al cofano di una Ferrari? Qui torniamo alla cronaca storica: quando Ferrari, nel giugno del 1923, vince la Targa Florio, guidando un'Alfa Romeo ( la sua fabbrica di fuoriserie verrà fondata solo nel '47) incontra i genitori di Francesco Baracca. E' la madre a dirgli "Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna". Così fu fatto: il cavallino restò nero, ma ebbe il fondo giallo canarino, che è il colore di Modena. E fu immortalato in tutti i film che parlano di Formula 1, come il recentissimo Rush di Ron Howard, sulla storica rivalità fra il ferrarista Nicki Lauda e James Hunt.