Ricordando Lester Piggott in occasione del Derby di Epsom
Per gentile concessione di Trotto e Turf, continua su cavallo2000, il racconto dei grandi personaggi (uomini e cavalli) del galoppo tratteggiato dalla penna di Mario Berardelli, il nostro punto di riferimento per il turf declinato a cultura e tradizione. -
Newmarket autunno 1976. Tre amici sono in zona per Aste e corse. Pomeriggio all’ippodromo, tra le altre corse in programma c’è il Cesarevitch , monumentale perizia e maratona tipicamente anglosassone la cui valenza sovente affianca quella di una pattern. Campo pletorico, scelte difficili, sarebbe servito uno studio approfondito. I tre amici, chi scrive, Lollo Luciani e Paolo Riccardi, si divertono a “flottare” nella zona dei Bookmakers del Grand Stand. Una corsa come il Cesarevitch non si lascia passare senza fare una scelta e una scommessa, tutta l’Inghilterra scommette su queste corse e non solo. Le quote sono invitanti, il top weight è John Cherry , è il favorito ma si “ pizzica” anche a sei. Cosa decidono di fare i tre amici alla fine e pochi istanti prima del via ? Esattamente quello che in Inghilterra da 25 anni facevano tutti , a parte ovviamente chi studiava a fondo ogni corsa, ovvero affidarsi ad un cavallo montato da Lester Piggott .
Dieci sterline ciascuno su John Cherry , giubba rosa con in sella appunto Lester . Un istante dopo aver effettuato la scommessa i cavalli si erano già avviati, cosi insolitamente anzichè andare in tribuna i tre si aggrapparono allo steccato nei pressi del palo di arrivo. Praticamente non si vedeva nulla ma per fortuna Paolo Riccardi, che sfiorava i due metri, riuscì ad individuare ad un certo momento, a 400 dal palo, la sagoma e la giubba di John Cherry. Una passeggiata , facile e di diverse lunghezze, ancora una volta il “popolo” vastissimo di Lester Piggott era stato gratificato nel migliore dei modi.
In Inghilterra il Turf è una religione, i fedeli sono una moltitudine ma hanno sempre avuto bisogno di iconici punti di riferimento, ovviamente scelti tra i fantini cui affidare la propria ansiosa voglia di scommessa esattamente come fecero i tre amici italiani. Negli ultimi 100 anni in questo ruolo si sono avvicendati ,più di ogni altro, tre fantini vale a dire Gordon Richards dal 1920 al 1954, Lester Piggott che, in quegli anni, ne ha raccolto il testimone che ha successivamente affidato a Franky Dettori ancora oggi, un secolo dopo, saldamente e iconicamente punto di riferimento del “popolo” ippico. I tre sono anche , al netto di preferenze particolari di alcuni appassionati ( nella nostra memoria indimenticabile fu Yves Saint Martin), coloro che possiamo definire i più grandi senza però metterci a fare classifiche. Sir Gordon Richards fu il più eccezionale fantino della prima metà del secolo, Lester lo fu nella seconda e Franky ha idealmente chiuso la Storia del 900 e aperto quella del terzo millennio.
Sappiamo bene che la Storia ippica del 900 , sotto quasi tutti i suoi aspetti, si è conclusa da due decenni circa, eppure forse soltanto adesso con la scomparsa del suo Sommo Sacerdote, già da tempo assurto nell’Olimpo della leggenda, possiamo dire anche ufficialmente. Ebbene si, adesso siamo nel terzo millennio anche ippicamente.
Come già abbiamo avuto modo di chiosare è fantastico che sul Turf , non soltanto inglese, continui a vegliare , assoluta ed unica vestale, Sua Maestà Elisabetta seconda, Regina dei cuori di ogni autentico ippico. Lei ha vissuto la epopea della seconda metà del 900, lei ha gioito e tifato appunto anche per Lester e il jockey la ha ripagata con la soddisfazione inarrivabile, tra le tante, della vittoria nelle Oaks in sella a Carrozza. E’ assolutamente emblematica la foto che ritrae Sua Maestà ricondurre nel “winner enclosure” di Epsom la sua pupilla.
Con Lester Piggott si chiude una era che ha vissuto delle gesta di tanti altri mitici personaggi anche loro , lentamente , scomparsi. Ci sono comunque diversi fils rouge che appaiono come generati dal turf della seconda metà del 900 e che in quel periodo sono stati nutriti. Uno almeno va citato perché è emblematico della connection che continua : Aidan O’Brien, icona del Turf degli anni 2000. Forse soltanto per il fatto che siamo stati modesti ma privilegiati testimoni del tempo e dunque ne siamo influenzati noi definiremmo la seconda metà del 900 come “golden age” del Turf. Per diversi motivi che elenchiamo in ordine sparso e che ovviamente ogni appassionato ha modo di integrare o confutare. La seconda metà del 900 ha sancito in primo luogo la internazionalizzazione assoluta e concreta del mondo del Turf che, da parcellizzato e apollineamente autocompiacente, è diventato meravigliosamente mercuriano e cosmopolita.
Pensate soltanto alla invenzione , inizio anni 70, delle Pattern che hanno consentito di rendere e non solo idealmente il mondo del galoppo come un unico ideale unificato ippodromo. Ebbene di questa internazionalizzazione consacrata, proprio Piggott fu assolutamente testimonial emblematico e molto grazie alla straordinaria “connection” con colui che possiamo definire il grande allenatore moderno e innovatore ovvero Vincent O’Brien, il personaggio che saldò le potenzialità di due mondi, quello degli Stati Uniti e quello Europeo. Oltretutto questo ragionamento ci porta ad un’altra considerazione : O’Brien rappresentava il presente ed insieme il futuro ma Lester unì la sua arte molto anche con la Maestria di due altri allenatori, Murless e Cecil . Uno , Noel Murless che rappresentava pienamente il 900 anche nella sua espressione colta e attenta alla tradizione britannica che era nel cuore anche dell’altro, Henry Cecil che di Murless fu erede , certamente poco mercuriano ma pienamente moderno in termini di organizzazione e tecniche di allenamento. Per avere una idea anche solo superficiale della importanza di queste tre “connection” riflettiamo sul fatto che per Murless il nostro Lester montò campioni come Crepello, St Paddy, Petite Etoile, Aunt Edith e ovviamente Carrozza per Sua Maestà. Per Henry Cecil giusto per avere una idea fu in sella a Le Moss, Ardross, Oh So Sharp e Wolver Hollow. La unione con il “gouvernor” di Cashel è talmente immensa che ci limitiamo a nominare Nijinsky, Sir Ivor, Roberto, The Minstrel e diciamo che possono bastare. Golden Age anche per il fatto che , genealogicamente, la seconda metà del 900 ha nettamente espresso il dominio di uno Stallone base del turf contemporaneo ovvero Nearco che si legge anche Federico Tesio.
La prima metà del secolo presentava , genealogicamente, una molteplicità di linee che si esternavano attraverso i rami di Hyperion, Tourbillon, Prince Rose, Man o’ War, Raise a Native, Blenheim, Rabelais e non solo. Ebbene la seconda metà del 900 ha determinato, diciamo all’80%, il predominio , per merito delle vittorie nelle pattern in tutto il mondo, della linea di Nearco attraverso vari suoi rami ma uno su tutti ha assunto una caratteristica di dominio incredibile, quello di Northern Dancer. Su questo stallone Vincent O’Brien e quindi Lester Piggott hanno costruito il loro impero. –“ Esistono i figli di Northern Dancer e poi gli altri cavalli…” Si esprimeva cosi il grande Vincent e rendeva benissimo la idea. Il demiurgo in pista fu appunto Piggott che trasformò in oro vincente il prezioso materiale che gli veniva consegnato. Ogni anno e per parecchie stagioni, diciamo dalla fine dei 60 e per tutti i 70, O’Brien domò parecchi figli di Northern Dancer, acquistati negli States, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti noi ma , ai fini del nostro ragionamento, costituiscono una caratteristica imprescindibile della Golden Age. Tornando a Lester sembra quasi pleonastico rammentare i numeri e i termini della sua grandezza poiché sono ben noti a tutti noi e voi. In ogni caso tra patria e estero sfiora le 5400 vittorie e un mare di volte leader della classifica, certo il numero fa potenza ma le azioni forse si contano , le vittorie si pesano e quelle di Lester Piggott devastano la bilancia ideale. Trenta classiche e non si discute più come dinanzi ad 11 Gold Cup oppure 9 derby ( Gordon Richards vinse solo con Pinza) e a tutta la serie infinita di pattern vinte in giro per il mondo come documentato dalle varie tabelle. Scaviamo invece nella memoria di ciascuno di noi alla ricerca del ricordo più esaltante. Capirai, ce ne sono una marea, già ma è proprio cosi che ci rendiamo conto della sua grandezza perché che fosse magnifico correndo in testa oppure alla estrema attesa o di spunto, da 1000 a 4000 metri lo impariamo alle elementari. Serve il quid in più , quell’istante che illumina. Come il derby di Roberto , dieci metri prima del palo sconfitto da Rheingold, dieci metri dopo il palo ancora battuto ma sul palo, la dove conta, primo. Indimenticabile lezione. Eh bravo e allora quelle tre di Longchamp. Ah, mirabili. La prima con Rheingold appunto e poi le due in avanti con Alleged. Capolavori assoluti, senso della andatura incorporato e di serie. E la triplice corona di Nijinsky ? Pazzesca e nella Storia essendo l’ultima. Di fatto nessuno tenta più o quasi di raggiungerla, altro segno di cambiamento del Turf, l’unico St Leger rimasto tale è quello inglese ma per quanto ancora ?
Ecco qualche spunto di discussione accademico : potrebbe il St Leger sui lunghi 2900 di Doncaster aver lasciato qualche scoria a poco meno di un mese di distanza nello scontro supremo di Parigi ? Mah, chi lo può dire. Certo è che su Sassafras era in sella un fuoriclasse assoluto , Yves Saint Martin, e in cabina regia un Maestro pienamente novecentesco ovvero Francois Mathet che diede al suo allievo il derby di Francia ma anche il Royal Oak . Oggi, altro segno dei tempi, probabilmente nessuno baratterebbe l’Arco con il St Leger rischioso. Archiviamolo come scontro tra Titani e come match tra due opposti genealogici. Il fondo in Sassafras dal pedigree logoro e spento poiché era uno Sheshoon che portava a Hurry On , un sepolto in fossa comune del turf, ravvivato in sezione materna da Ratification – Court Martial ( cosi adesso comprendiamo perché resse lo spunto), la classe pura in Nijinsky, figlio del mondo , perfetto cosmopolita frutto della cultura mercuriana per eccellenza e con pedigree costruito divinamente per cambiare , fu concepito nel 1966, il Turf mondiale grazie all’apporto oltre che di Nearco di quasi tutte le possibili linee di qualità che trovarono posto nel pedigree. Impossibile, tornando ai momenti clou di Lester, non citare il derby di Never Say Die che ci viene consegnato da immagini in bianco e nero ma che , essendo il primo e a meno di 18 anni, beh è storico per forza. Ogni sua Gold Cup lo è altrettanto. Caspita e allora le 116, esatto 116 , affermazioni nella settimana del Royal Ascot, casa sua ? Oppure lo strike che sembra sia stato calcolato in totale al 21%. Mamma mia. Beh poi c’è il congedo o quasi . Immenso in sella a Royal Academy ( copyright di Franky) nel miglio delle Breeder’s , materia da visione obbligatoria nelle scuole almeno di equitazione. E poi ? Tutte le altre che sono nel cuore di ciascuno di noi che lo abbiamo venerato e amato e senza metterci a discutere della sua avarizia che diventa quasi mito come la sua balbuzie, delle sue traversie giudiziarie per le quali ha giustamente pagato e molto dovendo anche restituire il titolo di baronetto. Oppure delle sue connection familiari interessanti ma lontane dal carisma della sua grandezza.
Certo ha combattuto tutta la vita contro la bilancia e lo ha fatto fumando sigari a volontà per evitare di mangiare, è riuscito a montare fino a 53 chili ( alto 173 cm) ma nei suoi momenti d’oro poteva permettersi anche uno o due chili in più, non mancavano certo gli ingaggi. Da noi ha vinto tre volte il Derby ( certo anche quattro volte il Jockey Club e tre il Roma) . Ha iniziato con Bonconte da Montefeltro, ha concesso il bis con Cerreto e poi ha concluso con la splendida affermazione in sella a Welnor sconfiggendo Bob Back che un anno dopo saprà cogliere l’alloro delle Prince of Wales, il massimo dunque. Quel derby è lo spunto per una triste considerazione. Nello scorso novembre a casa di Roberto Bottanelli si sono rivisti dopo tanti anni , quasi 40 , per ricordare quel trionfo insieme al padrone di casa e proprietario di Welnor anche Gaetano Benetti e Lester . Una foto li ritrae affettuosamente accanto. Il destino in pochi mesi ce li ha rapiti tutti e tre. Forse il segnale che davvero il 900 ippico è alle nostre spalle e che bisogna convivere con il mondo nuovo perché cosi insegna la Storia. Attenti però : i miti e le leggende non muoiono mai e Lester Piggott è già nella Leggenda e nella Storia del Turf mondiale e di lui non si finisce mai di scrivere. Infatti ognuno di voi ha ancora tantissimo da aggiungere a queste nostre note, quello di Lester sarà un libro sempre aperto.