Nell'ideale bacheca di Adriano Capuzzo
Dieci anni fa, il 15 dicembre del 2011, ci ha lasciato Adriano Capuzzo. Grande cavaliere, grandissimo istruttore, vero gentiluomo, uomo di cavalli inarrivabile.
Poiché nel 2012, primo anniversario della sua morte, con il patrocinio delle sue figlie Flavia e Francesca è stato realizzato un libro che ne raccoglie gli scritti (i cavalieri italiani hanno molta confidenza con i pilieri ma poca con la penna, e lui - ancora una volta - faceva eccezione), sarebbe tautologico ricordarne in questa occasione le qualità, i traguardi, le durezze, le gentilezze.
Oltretutto il libro, per una meritoria decisione del Comitato Regionale Lazio, è ormai scaricabile gratuitamente dalla rete, attraverso il sito del Comitato medesimo. Dunque, "Le memorie di Adriano" - si parva licet scomodiamo il titolo della grande Marguerite Youcenar - sono facilmente disponibili per quanti lo vogliano conoscere, almeno sulla pagina, e apprenderne gli insegnamenti, almeno teorici.
Ma c'è un'altra eredità che Adriano Capuzzo ci ha lasciato, e che è andata dispersa, o è stata tradita: l'impegno a formare degli istruttori che avessero un bagaglio tecnico degno della loro qualifica. A suo tempo ho ascoltato personalmente gli sfoghi di Capuzzo quando gli è stato chiesto di organizzare i neonati corsi per gli OTB, gli Operatori Tecnici di Base.
L'ho sentito sostenere - inascoltato - che due settimane di corso non possono formare un istruttore, anche quello di base. L'ho visto arrabbiarsi perché gli OTB accompagnavano allievi in competizioni di livello più elevato di quanto potessero. “Un istruttore di base deve fare un corso di almeno sei mesi, e un affiancamento di altri sei” si rammaricava. Anche se, nel contempo, spendeva tutto se stesso per organizzare al meglio quei corsi, anche attuando una selezione piuttosto severa degli allievi ammessi: “Questo giovanotto, che ha fatto domanda, fa l'impiegato alle poste. Il corso OTB a che gli serve? Come usa le risorse che gli vengono messe a disposizione dalla Fise?”.
La sua è stata una voce platealmente inascoltata. La politica che la Fise ha privilegiato è andata in tutt'altra direzione. E ha prodotto, in tempi ancora minori di quei fatidici 15 giorni, una pletora di “istruttori” a cui viene affidata la sorte equestre di bambinetti attratti dal cosidetto “battesimo della sella”.
Se mi permetto, da osservatrice esterna, di notare come questa deriva sia nociva all'equitazione è anche perché qualche mese fa, sulla pagina FB di Argenta Campello, ho letto un documentatissimo intervento in cui si lamentava l'eccessivo numero di istruttori formati al volo, in età giovanissima. Adriano avrebbe messo cento firme a quel documento, che dava voce a un suo radicato rammarico.
La qualità e la ricchezza della formazione di un istruttore non è un concetto “antico”. E dunque obsoleto o superato. E' una necessità attuale e inequivocabile. Imboccare delle scorciatoie è una soluzione che ha il fiato corto. Si rastrella - forse con qualche vantaggio economico - un po' di tesserati, ma al dunque il gioco finisce lì.
Tornando ad Adriano - che si lamentava di sentir dire “barre” invece di barriere e “precessa” invece che preceduta, proprio dagli OTB che si erano formati in quegli anni - vorrei ricordare che la sua severità (mai disgiunta da grandi slanci nei confronti dei suoi allievi ) non rispondeva a un'idea astratta dell'insegnamento, ma al convincimento che l'equitazione è uno sport complesso, con due protagonisti, dei quali uno non ha l'uso della parola. Uno sport che esige un grosso bagaglio di competenze tecniche e di un radicato, profondo rispetto per il cavallo, per il ruolo dell'istruttore, per quello dell'allievo.
Durante la sua presidenza Capuzzo aveva allestito, nella sede del Comitato Regionale Lazio, una bacheca intitolata "così si monta", in cui aveva appeso delle foto di amazzoni e cavalieri impegnati in gara con uno stile ineccepibile. Lo stile non è pura e sterile accademia, ma la formalizzazione del talento e delle capacità tecniche di un cavaliere. Per costruirlo ci vogliono anni di lavoro. Dell'allievo e dell'istruttore.
Oggi, a dieci anni dalla sua scomparsa, mi permetto un azzardo. E arricchisco quella bacheca, ormai soltanto ideale, con un'altra foto: quella dell'amazzone Evelina Bertoli, regina di eleganza in sella, e allenata da Stefano Brecciaroli, cavaliere olimpico e allievo di Adriano Capuzzo. I francesi direbbero "tout se tient".
Non si pensi a un ennesimo riconoscimento del suo valore (Evelina è andata cinque volte a podio nei Campionati Italiani Assoluti di Completo e nel 2020 è stata privata della medaglia d'oro cui aveva diritto per un incidente burocratico ammesso dalla stessa Fei). Riconoscimento che oltretutto io - semplice spettatrice - non ho alcun titolo a dare. Si tratta soltanto di dare all'equitazione ciò che è dell'equitazione. Ancora e sempre nel ricordo di Adriano.