Marta Matarazzo, un'amazzone poliedrica
1 dicembre, Ippodromo La Maura. Mi raccontano una storia, se ne parlava in sala stampa.
Zaira dei Veltri, una femmina di otto anni, baio oscuro, aspetta di poter entrare in pista per la sua corsa di trotto montato. Così qualcuno sta andando a prendere il fantino in stazione, ma non è un autista qualsiasi, è Gustavo Matarazzo, Presidente dei Gentlemen Lombardia e l’amazzone che correrà è la figlia Marta che sta tornando a Milano, dove è nata.
I cavalli sono nella vita di Marta da cinque generazioni e per lei non deve sembrare strano mettere nella valigia stivali e sella e saltare su un treno con la determinazione di una venticinquenne che vuole correre, che ha respirato l’aria di scuderia fin da sempre, da quando sua madre, artiere, la allattava nelle stalle o pochi anni dopo, quando il padre allenatore le comprava un pony e le faceva girare in gara l’Italia con la sorella.
“Di che colore è il cavallo dentro di te?” Le domando a bruciapelo quando parliamo. So che ha studiato al liceo artistico e disegna, in particolar modo i cavalli, così se questa domanda sembrerebbe strana a chiunque, lei mi risponde con la rima di chi ama l’arte.
“Il mio cavallo è blu,” mi risponde e entrambe pensiamo a Kandinskij, al Cavallo Blu di Marc, al movimento artistico impressionista Der Blaue Reiter in cui questo animale è rappresentato col suo carico simbolico.
“Ma non solo questo; il cavallo è da sempre stato al servizio dell’uomo, un alleato. Blu come il sangue dei nobili, il colore dei reali di Inghilterra che hanno fatto la storia dell’ippica,” aggiunge.
“In un certo senso anche tu lavori a corte, quella dei Botti, a Cenaia. Hai passato una vita in sella: le corse con i pony, a sedici anni hai preso la patente per il galoppo, hai persino fatto l’operatrice di ripresa agli ippodromi. Riesci mai a dimenticarti di essere una donna di cavalli?”
Fa una risata timida e leggera.
“No, mai. Vivi fuori, lavori con loro. La giornata è improntata sui cavalli, sui loro bisogni e necessità. Persino quando sei in vacanza non riesci a non chiedere di loro con una telefonata. E anche lontana dalle corse, non devi mai dimenticarti di essere un’amazzone, alla forma fisica e i tuoi pensieri sono sempre lì e lo sono anche i tuoi sogni.”
“Quali sono i tuoi?”
“Correre, sempre. Magari in Francia.”E se in Italia il trotto montato è “il grande incompreso” dell’ippica e riesce ad appassionare poco il pubblico ritagliandosi qualche corsa in pochi Ippodromi, Oltralpe questa disciplina riscuote un notevole successo. In questo periodo l’ippodromo parigino di Vincennes, nel suo Meeting d’Hiver, programma ad ogni convegno un paio di prove al monté e proprio
“Perché in Italia c’è questo scarto di entusiasmo per il trotto montato?” chiedo ingenuamente. “Perché non ha la stessa fortuna che ha in Francia?”“C’è da dire che il galoppo è più emozionante, mentre il trotto sembra una corsa che stenta a prendere slancio, come se il fantino trattenesse il cavallo, qualcosa di innaturale.”
“In realtà è proprio il contrario,” mi corregge Marta,” la razza è selezionata e in paddock, libero, questo cavallo trotta, è un’andatura naturale per loro. In pista invece, quando prende il galoppo, qualcosa non va, un dolore forse, o uno sbaglio del fantino, ” osserva.“Preferisco sempre il trotto montato; mi da la possibilità di affrontare una corsa più schematica, più tecnica.”
Marta è una ragazza molto decisa. Sembra, seppur così giovane, saper esattamente quello che vuole e ciò che invece non è nelle sue corde, ma che deve accettare. Senza fronzoli.Giro un po’ attorno alla mia domanda e poi la metto sul tavolo: “Com’è essere donna nel mondo delle corse?”
“È una cosa che si paga in termini di professionalità. Se fai un errore, spesso per gli altri è imputabile al tuo essere donna. Anche la femminilità è una questione che va saputa gestire ed è meglio non concedersene troppa per certi aspetti; in realtà dà alla corsa un valore aggiunto. C’è più tranquillità, delicatezza; possiamo apparire meno aggressive, ma sicuramente il divertimento non manca mai nella corsa di un’amazzone.”
Questa risposta ha un retrogusto amaro, qualcosa che doveva avere la leggerezza dell’ultima domanda, invece cruccia un po’ entrambe. Così provo a cercare ancora in ciò che ama, oltre ai cavalli, per addolcire un po' i nostri saluti.“Cosa è rimasto dei tuoi studi d’arte nello stare in sella?”
“La pazzia degli artisti!” mi risponde con un sorriso sincero.
Ma sapete come finisce la storia? Quella che raccontavano in Sala Stampa a La Maura quel giorno di dicembre? Papà Gustavo è andato a prenderla in stazione e lei ha vinto e non è stata una vittoria qualsiasi, ma la prima in casa sua, a Milano e su quel podio, assieme a lei, c’erano anche Emily Bellei e Francesca Donadio a dimostrazione che anche nel trotto montato le donne si giocano sempre una carta in più, che a volte pagano, a volte pesa come un fardello, altre volte invece rende un podio tutto rosa.
Gli uomini stavolta sono rimasti a guardare, come papà Gustavo che ha lasciato il compito di premiare sua figlia al direttore dell’Ippodromo, perché potrai essere anche un allenatore, un gentleman navigato, un equestre da tante generazioni, ma se tua figlia sale sul podio e vince per la prima volta a casa, a Milano, sei così emozionato che non riesci a omaggiara con un mazzo di rose, sei solo un padre orgoglioso e non puoi fare altro che applaudire.