Livorno, c'è una speranza per l'ippodromo Caprilli
Un vincolo di destinazione d’uso che risale al 1930 impedirà al sindaco di Livorno Filippo Nogarin e alla sua giunta di fare dell’ippodromo Caprilli un’altra cosa. Quello che il primo cittadino della città labronica in un recente post sul suo profilo facebook ha chiamato ex ippodromo, annunciando ai livornesi che in un prossimo futuro quell’area avrà un nuovo volto (mercato, parcheggio, acqua park o quant’altro…), è per il Mipaaf ancora un ippodromo. Quel lascito del 1930 della famiglia Cave Bondi, che donò il terreno per fare le corse dei cavalli al Comune di Livorno, è sbucato nel corso dell’audizione alla Commissione d’inchiesta sulla Labronica di Attilio D’Alesio, che si è occupato dell’ippodromo prima come direttore poi come assessore allo sport. Un documento ufficiale che non lascia spazio a fantasiose interpretazioni e vincola alla destinazione d’uso dell’area ad ippodromo. Un jolly a disposizione di chi anche sulla rete ha aperto dei gruppi ‘per salvare il Caprilli’, cercando di svegliare una città addormentata e ambigua nei comportamenti politici. Il sindaco Nogarin al suo insediamento nel 2014 s’impegno tramite l’assessore allo sport della sua giunta d’incontrare D’Alesio e altri ippici interessati ad aprire un tavolo per il futuro dell’impianto ardenzino. D’Alesio ipotizzava una cittadella dello sport. Nogarin non ha mai mantenuto quella promessa e la compagine degli ippici labronici non è mai stata ricevuta in Comune. Sul versante dell’opposizione, in primis il PD, ci si è limitati ad affrontare la questione della Labronica, la società ormai liquidata. Ma quello è ormai un capitolo vecchio, basta leggersi i bilanci certificati e approvati di anno in anno dal Comune. Nessuno si è mai posto il problema di lanciare un dibattito politico sul futuro del Caprilli, su un’ipotesi di riapertura inserendo l’ippodromo in un progetto per la zona dell’Ardenza ma salvaguardando le corse dei cavalli e il verde. Il PD locale sa che nel declino del Caprilli pesano le scellerate scelte della precedente giunta a tinte dem, che decise di comprare per la cifra simbolica di un euro la quota della Società Livornese per le corse cavalli, chiudendo la storia gloriosa della Labronica che costretta ad ammortamenti rapidi fu guidata verso il fallimento. La storia recente parla di altri comportamenti dell’amministrazione comunale non corretti. Lo dicono i ricorsi vinti dall’Alfea, che si vide consegnare dal Comune di Livorno un ippodromo che non era quello descritto nel bando, visto che sia il ristorante che il sottopassaggio quando Pisa prese le chiavi del tempio del galoppo labronico risultarono inagibili. Oggi l’ippodromo non cade a pezzi come si è con leggerezza scritto su alcuni organi di stampa. La tribuna è stata costruita nel 1980 nell’ambito di investimenti fatti dalla Labronica (il ristorante e il sottopassaggio risalgono a quel periodo) e non ha subito danni durante queste due estati di chiusura della struttura. Del resto la Labronica era una società che non aveva scopo di lucro e che ha investito pesantemente nell’ippodromo, tanto che la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’ippodromo erano una voce consistente dei bilanci. Anche i camminamenti del pubblico sono agibili e ad oggi le erbacce sono comparse al tondino, mentre la pista è in buone condizioni, viene curata con il trattore da quegli allenatori che hanno i cavalli ancora dentro il Caprilli. Sono una quarantina anche se proprio in giugno è stata staccata l’acqua. Magari il Comune si dovrebbe domandare a quale titolo quei cavalli e quei professionisti stanno là dentro. Il ruolo dell’Ardenza in estate è un potenziale, riferitoci da chi costruisce i libretti programmi in altri campi nazionali, di 25 giornate con un montepremi di 700 mila euro. Quest’estate i cavalli di stanza nel Granducato hanno avuto come sfogo soltanto la riunione (un convegno la settimana) di Grosseto ai quali in agosto si è aggiunto Capalbio. Riaprire il Caprilli vorrebbe dire tutelare il patrimonio dei cavalli di galoppo in Toscana. L’Alfea, che continua ad essere l’assegnataria dell’ippodromo (quindi sono infondate le notizie di stampa che parlano di un prossimo bando che il Comune di Livorno potrebbe varare ndr), potrebbe essere convinta dagli allenatori che formano il suo consiglio a riaprire Livorno e a costo di perderci dei soldi agire così per tutelare quel patrimonio di cavalli in allenamento che è anche primario per la società pisana, visto che San Rossore nasce come centro di training ed è ancora il suo core business. Forse l’ostacolo maggiore verso la riapertura dell’antico impianto inaugurato nel 1894, che la prima domenica d’agosto mandava in scena la Coppa del Mare, è rappresentato da quella sovvenzione del Mipaaf che ad oggi per l’Ardenza sarebbe di soli 270 mila euro, troppo pochi per fare una stagione estiva di 25 giornate. Questi sono i vari aspetti che ruotano attorno ad una vicenda intricata e sulla quale abbiamo voluto fare chiarezza. Con l’auspicio che si apra un dibattito politico e negli ambienti ippici e nella città di Livorno su un impianto collocato in un’area verde meravigliosa, a otto metri dal mare, davanti all’Accademia Navale. Un patrimonio di tutta la città di Livorno e della Toscana che non merita di finire nel degrado e che un sindaco e la sua giunta dovranno prendere come impegno di gestire con meno leggerezza. Prima di annunciare progetti di ricollocazione dell’area e di scrivere ex Ippodromo, dovremo andare a leggere la storia del Federico Caprilli – esiste un bellissimo volume pubblicato nel 1994, per i Cento Anni dell’ippodromo – e soprattutto quel vincolo di destinazione d’uso dell’area scritto nel lascito del 1930 della famiglia Cave Bondi al Comune. L’ippodromo di Livorno si può salvare e quel cuore di passione attorno alla Coppa del Mare nelle meravigliosi notti d’estate sotto le luci, può tornare a pulsare. Crediamoci!