La morte di Gina, violenza intollerabile a tutta l'umanità
L’articolo di Macri Puricelli sulla tragica morte di Gina, massacrata, come recita il titolo, “da un uomo per bene” (Repubblica donna - on line) ha dato voce -se così si può dire- ad una riflessione che si è affacciata subito alla mia mente: “Non oso pensare quale possa essere la vita dei suoi cavalli”. Alla quale è seguita subito un’altra riflessione: ma possibile che nessuno si sia accorto di quale pasta fosse fatto questo….scusatemi ma il termine cavaliere proprio mi ripugna usarlo! Eppure aveva i “titoli” per partecipare ad un concorso internazionale.
Il che vuol dire che nell’ambiente deve aver girato parecchio….che i suoi cavalli deve pur averli allenati da qualche parte….che deve avere istruttori e compagni di scuderia …..e nessuno ha visto niente, nessuno ha percepito la violenza che albergava nella sua mente? Perché, parliamoci chiaro: un fatto del genere non nasce per incanto, non è un evento isolato. Un comportamento del genere non è liquidabile con la solita, stupida definizione di raptus, neanche se a sostegno di questa tesi si volesse far ricorso all’eventuale assunzione di qualche sostanza psicotropa. Non solo perché una qualsiasi sostanza può al massimo amplificare tratti della personalità preesistenti, ma anche perché i segnali di simili esplosioni di violenza ci sono sempre e ci sono anche se in forma meno eclatante in molti gesti e comportamenti della vita quotidiana. Basta saperli cogliere. Basta volerli cogliere.
Il problema è che spesso tutti noi abbiamo la tendenza a sottovalutare l’eventuale comportamento scorretto che ci capita di vedere in scuderia o in un concorso. Si tende a girarsi dall’altra parte per amor di pace, perché temiamo ripercussioni negative, perché ci disturba il rischio di poter essere giudicati dei rompiscatole….magari anche un tantinello isterici. Se vogliamo che la morte di Gina serva a qualcosa dobbiamo tutti imparare ad avere più coraggio ed a cambiare certi atteggiamenti che in alcuni casi sfiorano quasi la connivenza. Dobbiamo renderci conto che solo un forte controllo sociale e la riprovazione del gruppo nei confronti di comportamenti scorretti può mettere fine a forme di maltrattamento più o meno gravi che possono avvenire all’interno del nostro ambiente.
Non basta delegare alla Fise o alla Fei (che ovviamente devono intervenire). La responsabilità è di ciascuno di noi. Anzi, precisiamo: di tutti coloro che di fronte a brutture di ogni tipo, a violenze di ogni ordine e grado, ad atti e comportamenti che degradano il cavallo ad ammasso da macelleria, interrompono il circuito della propria dignità e della propria intelligenza facendo scattare l’interruttore del ‘non mi riguarda’.
Non solo. A questa volontaria frattura della propria umanità, costoro danno anche una motivazione razionalmente ineccepibile: non mi riguarda perché il cavallo è suo, lui è il padrone, lui sa quello che fa. E se lo fa, a nessuno è consentito interferire su come un padrone usa la sua proprietà. E, summa delle summe, questa codardia la chiamano ‘rispetto’ dell’autonomia dell’altro. Scateniamoci, dunque e necessariamente, contro la barbarie che è stata perpetrata su Gina. Ma decidiamoci a scatenare anche la nostra voglia di controllo e vigilanza. Perché quello che hanno fatto a Gina l’hanno fatto al mio cane, al mio cavallo. A me.