Il 25 aprile a Firenze, con la magia della Corsa dell'Arno
FIRENZE. E' tornata ancora una volta. Quella corsa che profuma di storia, nata da un sogno Ottocentesco di nobili che ritenevano in una corsa al galoppo la misura del rango, dello status, di quel confronto sportivo a cui gli inglesi, i sudditi di Sua Maestà, avevano dato il via nel Settecento in quel percorso dalla campagna al campanile di una cittadina saltando staccionate e siepi (le corse ostacoli); lo stesso impulso propulsivo allo sviluppo del turf che in una Firenze cosmopolita, frequentata dall'aristocrazia russa, polacca e inglese, negli anni 20 dell'Ottocento dà vita a quella Sottoscrizione dell'Arno, anno 1827, i libri che riportano il nome del primo vincitore, Riber. La Corsa dell'Arno, il prossimo 25 aprile, festeggia l'edizione 196.
Il suo è un albo d'oro che entra nel cuore di tutti gli appassionati, dei cultori dell'ippica che leggendolo assaporano nomi di cavalli, fantini e giubbe che hanno attraversato generazioni e sfogliato pagine di grande sport, come è l'ippica, in quell'emozione di un arrivo a grappolo sotto le tribune, nell'onda dei cavalli che arriva sul tappeto erboso per fissare sul cerchietto rosso del traguardo un risultato.
C'è una 'golden age' della Corsa dell'Arno che va dagli anni '70 ai primi anni 80. Scala dei pesi ampia, campo affollato, corsa equilibrata, difficile da prevedere, spesso vincono i più forti, quelli delle grandi scuderie di Milano e di Roma, qualche volta le scuderie toscane preparano da lontano l'appuntamento, arrivano alla corsa con il peso giusto per contare e una condizione del cavallo adeguata.
Nomi di quegli anni che spesso nelle serate invernali, in quell'attesa di una nuova Corsa dell'Arno, gli appassionati con i capelli bianchi ricordano: 1970 Surtees scuderia Ignis, Marcello Andreucci, poi 1971 Petesso scuderia Mantova, in sella Carlo Ferrari.
Quei formidabili anni Settanta, tramontano con due beniamini del pubblico toscano, Blue Team, cavallo banca, montato da Antonio Rovetto. Poi Ubertino Donati, Carmine Cocca in sella.
Gli anni 80 della 'nonna del galoppo' li segneranno un purosangue, una giubba e un fantino, Gemmano, appartenente alla scuderia Cieffedì ( si proprio quella giubba dell'avvocato D'Alessio, un grande proprietario e dirigente che ha indirizzato una stagione fitzgeraldiana del galoppo italiano, la nostra età del jazz, aprendolo ad obiettivi internazionali ma organizzando la sfida con programmazione e destinando risorse, scegliendo luoghi, professionisti, con un approccio manageriale 'up-grade'"), montato da Gianfranco Dettori. Vincono nel 1981 e raddoppiano due anni dopo, edizione 1983, 'Il Mostro' fa un capolavoro, vince rimontando il gruppo al largo di tutti, quasi allo steccato opposto.
Il doppio nell'Arno nei tempi moderni è riuscita ad un altro cavallo di tempra e cuore, Demeteor, 2014 e 2015, il doppio hurrah del purosangue sellato da quel fine conoscitore dell'ippica che è Riccardo Menichetti.
L'Arno e' una storia di uomini visionari, di uomini d'impresa e di sport capaci di essere ambiziosi, di saper riprovarci dopo una sconfitta, di destinare a quel sogno di vincere tempo, emozioni, passione. Quello che il nostro turf ritrova ogni 25 aprile a quel tondino di un ippodromo naif come il Visarno, in quel pomeriggio dove i cavalli della Corsa dell'Arno ci ricordano una storia e lo charme di quella donna degli anni Trenta che in un abito bianco guarda la corsa con un binocolo dalla terrazza. E' un manifesto di una edizione di oltre vent'anni fa, era ieri, è un ricordo, una suggestione ma soprattutto è qualcosa che riporta il sole di primavera in chi ama l'ippica. Viva Firenze e magia della sua corsa al galoppo. L'Arno.