Fieracavalli, presentato il libro sulla vita di Alessandro Bettoni
Nello spazio dedicato all'ippica a Fieracavalli di Verona si è svolta l'affascinante presentazione del libro di Riccardo Balzarotti Kemlein sulla vita di Alessandro Bettoni Cazzago (1892-1951), comandante del Reggimento Savoia Cavalleria, che guidò la carica di Isbuscenskij, sul fronte russo, durante la Seconda Guerra Mondiale.
Oltre all'autore, erano presenti il presidente della Fise Marco di Paola, l'attuale comandante del Reggimento Savoia Cavalleria, colonnello Ermanno Lustrino, e l'ingegner Mauro Checcoli, doppio oro alle Olimpiadi di Tokio del 1964.
Bettoni, scelta la carriera militare, combatte come volontario durante la Prima Guerra Mondiale con il grado di capitano di cavalleria. Nell'intervallo tra i conflitti mondiali, diventa l'atleta italiano con il maggior numero di partecipazioni a concorsi ippici: 141 nazionali, 66 internazionali, 30 Coppe delle Nazioni e due Olimpiadi (Amsterdam 1928 e Londra 1940) che gli fecero conquistare 384 premi, 253 coppe e 62 trofei.
Un autentico uomo di cavalli che, alla fine della Grande Guerra, recupera un cavallo traumatizzato dagli eventi bellici trasformandolo in un atleta vincente sotto la sua sella.
Nel 1929 e nel 1947 incide il suo nome nell'albo d'oro di Piazza di Siena.
La notorietà di Bettoni arriva, però, da un episodio accaduto durante l'ultima guerra: nel 1942, viene nominato comandante, con il grado di colonnello, del Reggimento Savoia Cavalleria e, il 24 agosto 1942, comanda la carica di Isbuscenskij contro i reparti corazzati russi. È un'azione nata per caso, con l'intento di uscire dall'accerchiamento creato da due reggimenti siberiani, che si conclude con la vittoria dei cavalieri italiani che hanno la meglio sulle mitragliatrici russe, anche se con la perdita di 35 uomini e più di 100 cavalli.
In seguito, Bettoni si dimostrerà quasi infastidito dal clamore con cui quell'impresa e la sua persona saranno ricordati, poiché riteneva di aver semplicemente espresso il dovere che la divisa indossata gli imponeva, e nulla più.
Uno spirito, quello militare, che l'olimpionico Mauro Checcoli ha conosciuto, ricordando quanto Alessandro Bettoni abbia emozionato e stimolato i giovani come lui, quando iniziarono a gareggiare. In quel periodo, la qualità dei cavalli stranieri era superiore alla nostra ma la bravura e la disciplina dei cavalieri militari permisero all'Italia di superare lo svantaggio, creando un movimento di atleti fortissimi e dal carattere indomito.
Rientrato dalla Russia nel marzo del 1943, Alessandro Bettoni si trovava nei pressi di Imola quando, l'8 settembre, venne dichiarato l'armistizio con gli alleati. Dopo aver sciolto il suo reparto, lasciando liberi i soldati e facendo distribuire i cavalli tra i contadini della zona, egli si presentò al comando tedesco che lo arrestò, mettendolo in carcere per diverse settimane.
Liberato per problemi di salute, tornò a Brescia, sua città natale, ed entrò nella lotta clandestina partigiana. Venne, però, catturato e internato nel campo di concentramento di Lumezzane dove rimase fino alla liberazione dell'aprile del 1945.
Nominato comandante militare di Brescia, riuscì ad evitare le vendette trasversali che insanguinarono l'Italia al termine del conflitto. Fedele alla monarchia, rifiutò di prestare giuramento alla Repubblica italiana e, per questo, nel 1947 venne allontanato dall'esercito nonostante fosse pronta per lui la nomina a generale.
Mauro Checcoli ricorda come, all'interno della squadra nazionale di equitazione, gli istruttori militari fossero rigorosi non solo nell'allenamento ma anche nella disciplina quotidiana. Il loro obiettivo non era la vittoria sportiva ma far acquistare al cavaliere padronanza e un perfetto assetto in sella rispettando il cavallo.
Il responsabile della squadra italiana di completo che portò l'Italia e Checcoli alla vittoria alle Olimpiadi del 1964 era Fabio Mangilli, un militare che fece parte del Reggimento Savoia Cavalleria.
Durante i giochi di Messico 1968, la prova di completo fu caratterizzata da piogge torrenziali che allagarono il percorso. Nonostante questo, la squadra si classificò al secondo posto, ancora in lizza per l'oro.
Il giorno successivo, Mangilli non diede il permesso di gareggiare al cavallo di Giuseppe Ravano, rinunciando alla possibilità di una medaglia individuale e di squadra: tutto questo per rispettare un cavallo che, il giorno prima, aveva gareggiato in condizioni impossibili e, quindi, per evitargli un'ulteriore fatica. Una decisione difficile da comprendere, sul momento, ma che rivelava il profondo legame che lega il vero cavaliere al proprio compagno. Un legame come quello esistente tra un militare e il suo cavallo, fatto di condivisioni di fatiche e di pericoli che permette al cavaliere di chiedere sapendo di ottenere una risposta positiva ma che lo spinge a proteggerlo, poichè il suo obiettivo non è una medaglia.
Il rispetto per i cavalli viene ricordato anche nella vicenda di Albino, un cavallo maremmano originario di Sterpeti, nei pressi di Albinia, in provincia di Grosseto, che partecipò alla carica di Isbuscenskij. Bettoni e il comandante del suo squadrone, Francesco De Leone, lo ritrovarono al mercato di Somma Lombarda attaccato al carro di un contadino e lo riconobbero da una ferita all'occhio, indice dell'attenzione che il comandante aveva per tutti gli equini della sua squadra. Bettoni lo acquistò e lo donò al reggimento, dove visse una serena pensione. Al pari dei soldati, con cui avevano condiviso fame e freddo, anche i compagni equini meritavano di finire la loro esistenza con onore e riconoscenza.
Riccardo Balzarotti ricorda che la vita di Alessandro Bettoni è stata una continua avventura sia da militare che da sportivo. E il finale non è da meno.
Il 28 aprile 1951 inizia il concorso di Piazza di Siena. Bettoni è in campo prova col suo cavallo ma non si sente bene e chiede a Piero D'Inzeo di montarglielo. Bettoni viene accompagnato all'albergo dove muore. Il giorno dopo, Piazza di Siena vive un momento drammatico ed emozionante perché i due cavalli di Bettoni, bardati a lutto, vengono condotti a mano nel campo per un giro d'onore in memoria del grande cavaliere scomparso.
Un libro, questo di Riccardo Balzarotti Kemlein, che merita di essere letto perché mantiene vivi valori e cultura di un passato che non devono essere dimenticati ma insegnati ai giovani, affinché non si perdano.