Donne e cavalli: un legame antico e misterioso
Una ragazzina e un cavallo. Una coppia di sodali, in cui l'uno è parte dell'altro. E un film che ne racconta il reciproco, fortissimo legame. Cosa vi viene in mente? Probabilmente l'indimenticabile "Gran Premio" del 1944, con Liz Taylor bambina, che monta contro tutti e contro tutto il suo Pie (che significa torta), un indomabile puledro vinto da lei a una lotteria di paese. Quando Pie, guidato dagli accorti consigli di un giovane stalliere ( Mickey Rooney) e montato dalla sua piccola amazzone Velvet ( travestita da ragazzo) vince il Gran Premio, il binomio sarà squalificato, perché a una bambina non è concesso partecipare. Non per ragioni di età ma di genere (!). Ma ormai, le qualità e il valore di Pie sono patrimonio di tutta la piccola comunità del paesino britannico. Il film con la piccola Liz è una indiretta filiazione di "Flicka, un cavallo per amico", diretto l'anno precedente, con protagonista un ragazzino, Roddy McDowall, che con la Taylor aveva recitato nell'indimenticabile "Torna a casa Lassie". E difatti nel film su Flicka, c'è anche un "cameo" del personaggio canino più longevo di Hollywood, Lassie, star di una mezza dozzina di film , di innumerevoli serie televisive e ancora sul grande schermo nel 2005.
Ma torniamo ai cavalli. E alla scelta - molto coraggiosa per l'epoca - fatta dalle Major di mettere al centro della storia il rapporto fra una ragazzina e il suo puledro. Il film vinse due Oscar, ed ebbe un tale successo che nel 2003 è stato inserito fra quelli conservati nel National Film Registry, della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Da quel lontano 1944 il cinema ha guardato con maggiore attenzione al legame assoluto che può stabilirsi fra una ragazzina e il suo cavallo. A cominciare dal seguito di "Gran Premio", realizzato ben 34 anni dopo. Titolo: "Una corsa sul prato", protagonista Tatum O' Neal e un puledro figlio del grande Pie. Bryan Forbes, regista anglosassone di buon mestiere - bellissima la scena della nascita del cavallino - sceglie per il ruolo del ruvido istruttore della squadra inglese niente meno che un giovane - e già bravissimo - Antony Hopkins. La vicenda racconta di una ragazzina americana, rimasta orfana dei genitori periti in un incidente che giunge in Inghilterra dalla zia che possiede il vecchio e amatissimo Pie. La ragazzina - che nel puledro trova un motivo per sottrarsi alla malinconia del lutto - lo battezzerà "Arizona Pie" in onore al nome del grande campione e in ricordo del luogo in cui è nata, negli States. Crescerà con lui e appena diciottenne finirà per essere ammessa, dopo anni di lavoro in sella, nella squadra olimpica inglese... Da qui parte la parte più avvincente del film, fra gare internazionali, disavventure durante il trasporto aereo, incidenti di percorso. E immancabile lieto fine.
Liz Taylor bambina montava senza controfigura ( e una caduta durante le riprese le procurò un mal di schiena che la perseguiterà per tutta la vita), ma anche Tatum O' Neal è davvero in sella al suo Arizona Pie. Benché giovanissima Tatum si considerava una professionista "di ferro" ( a nove anni aveva vinto l'Oscar per la migliore attrice non protagonista con il film di Peter Bogdanovich "Paper Moon). Ma nel percorso del cross olimpico, che è il clou della seconda parte del film è stata sostituita nei punti più pericolosi da una controfigura che Forbes amministra con molta abilità, alternando campi lunghi e piani americani. Gli spettatori più accorti possono accorgersi della presenza della controfigura per una svista della segretaria di edizione, ( la persona che deve occuparsi di tutti i raccordi visivi fra una inquadratura e l'altra) perché Tatum non usa gli speroni, mentre la controfigura si.
Altra adolescente indissolubilmente legata al suo cavallo è la piccola Grace ( una giovanissima Scarlett Johanssonn) che a dodici anni, mentre monta il suo bel baio Pilgrim in una passeggiata domenicale, patisce un terribile incidente, in cui perde una gamba, mentre il suo cavallo Pilgrim subisce una tale quantità di ferite da diventare aggressivo e ingestibile. La storia de"L'uomo che sussurrava ai cavalli" - film interpretato e diretto da Robert Redford, e tratto dall'omonimo romanzo di Nicholas Evans - è troppo nota per raccontarla tutta. La madre di Grace comprende che la rinascita psicologica della piccola passa solo attraverso il recupero del cavallo, e dunque si avvia con un trailer verso la fattoria di un cow boy, Tom Booker, conosciuto per essere "un sussurratore". Redford cambia il finale scritto da Evans, e aggiunge alla storia delle apprezzabili venature amarognole. Ma al dunque, il nocciolo incandescente del racconto riguarda ancora e sempre il rapporto simbiotico fra Grace e Pilgrim. Perchè un cavallo può offrire a una ragazzina un ventaglio di emozioni che hanno a che fare con il senso di sé, il rispetto dell'altro, e il sentimento ineffabile della libertà. Di cui le donne hanno fame - una fame spesso e volentieri negata - da sempre.