Domenica alla Maura il Nazioni, la corsa monumento del trotto italiano
MILANO. Domenica prossima l’ippodromo della Maura manda in scena il Gran Premio delle Nazioni, prova internazionale sul doppio chilometro allungato per i cavalli di ogni Paese. Si tratta della gara che più di ogni altra è legata alla storia monumentale del trotto del Nord.
Dall'albo d'oro del Nazioni, nato con la pretesa di proporre a Milano la sfida dei migliori del Vecchio Continente, balzano fuori, infatti, i nomi più fulgidi di questo romanzo popolare: Tornese, Une de Mai, Timothy T , Mony Maker, Varenne per dare una spolverata di chi ha eccelso, ma pure negli ultimi anni una manciata di svedesi, e ancora e sempre tanti francesi VIP. In sintesi, il meglio, l'assoluto o poco ci manca.
E' con quest'alea da gara magica che il Nazioni va interpretato e vissuto: perchè si tratta dell'evento per antonomasia, scritto con la E maiuscola.
Fu istituito nel 1952 ed il primo vincitore fu lo svedese Frances Bulwark, poi l’anno dopo il primo successo francese grazie a Cancanniere. Memorabile l’edizione del 1954 con la più forte cavalla del mondo, Gelinotte che sotto il diluvio si permette di perdere 50 metri con una rottura iniziale per poi esibirsi in una sensazionale rimonta con la quale la regina di Francia acciuffa sul traguardo Hit Song che sembrava aver partita vinta. Oriolo è secondo nel 1955, sconfitto dal mangelliano Scotch Harbor, un americano guidato dall’omino di Amburgo, Fromming.
Il tricolore sale sui pennoni di San Siro con Tornese nell’edizione del 1956, in sediolo c’è Santi, e qui registriamo anche il terzo posto di Oriolo. Sono anni di sfide furibonde, senza pausa, capaci di entusiasmare la folla e di lasciare strascichi polemici nei giorni successivi alla corsa, con dibattiti tra gli appassionati e anche sulla stampa, tra fuoriclasse del calibro di Tornese, Crevalcore e Icare IV.
Crevalcore e William Casoli scrivono il proprio nome nell’albo d’oro del 1957 (2.Tornese, 3.Gelinotte), mentre Icare IV, un francese guidato dal ‘Mago’ Walter Baroncini si afferma nel 1958 battendo Tornese che si rifà nel 1959, interpretato dal Pilota Sergio Brighenti avendo la meglio su Jamin e Icare IV.
Tornese è un cliente fisso della grande corsa autunnale di Milano, è terzo nel ‘60 quando vice Nievo, con Ugo Bottoni in sediolo (per i colori della scuderia Santipasta), con al secondo posto Erro.
Mentre nel 1961 Walter Baroncini torna nel winner circle grazie ad un americano della scuderia Sandra, Quick Song che precede Tornese. Il grande driver emiliano trapiantato a Milano vince per la terza volta il Nazioni l’anno dopo, la splendida Newstar la cavalla portata al traguardo dal Mago davanti a Ozo, punta di diamante dello schieramento transalpino che si rifarà nel 1964 sconfiggendo un eroico Steno che avrebbe meritato la vittoria.
In mezzo, l’edizione del 1963, luci della ribalta per Giancarlo Baldi che sale al proscenio con un americano di scuderia italiana, Hurst Hanover. Nel 1966 un’altra grande francese in passerella a Milano, l’elegante Roquepine, guidata da Henri Levesque. Concederà il bis nel 1968, mentre ad aprire gli anni Settanta del big event milanese è un’altra gran dama d’oltralpe, Une de Mai, al record della corsa – 1.15.9 a quel tempo eccezionale - guidata da Jean Réné Gougeon, la leggenda di Vincennes. Si conferma nella grande corsa di San Siro anche l’anno dopo prima di lasciare la scena ad un cavallo indigeno, ancora nel cuore di molti vecchi appassionati, Top Hanover, il capolavoro di uno splendido uomo di cavalli di nome Gerhard Kruger, i colori della scuderia Santipasta, il cavallino che aveva riportato il tricolore in vetta anche in quell’altra magica corsa italiana, il Lotteria.
Poi, cinquant’anni fa, nel 1973, era un americano veloce e anche generoso come Latest Record, della scuderia Mira II, a concedere l’applauso al giro d’onore al Morino, ad Anselmo Fontanesi, guida amabile per scaltrezza e carisma, ultima cartolina di un trotto d’altri tempi, passionale, romantico e se togliamo un po’ di polvere al grande libro delle corse, ci sembra ieri che sia avvenuto, come quando metti sul piatto un bel disco di Guccini, Venditti o De Gregori e sei di nuovo negli anni Settanta.