Breve storia dell'ippica: Regina degli sport
Per gentile concessione di Trotto e Turf, continua su cavallo2000, il racconto dei grandi personaggi (uomini e cavalli) del galoppo tratteggiato dalla penna di Mario Berardelli, il nostro punto di riferimento per il turf declinato a cultura e tradizione. Ippica : Re degli Sport e Sport dei Re. Entrambe valide le due affermazioni. Fondamentali allo stesso tempo per i destini del nostro mondo e per consentire, alimentare, fortificare il retroterra di cultura che è indispensabile per la nostra esistenza che deve essere fieramente orgogliosa del proprio ruolo . Sport dei Re e intendiamo con questa affermazione comprendere non soltanto regnanti ma quel contesto , anche di rilevanza culturale al tempo, che potremmo definire come poteri forti, non solo in quanto tali ma più estensivamente perché capaci di creare opinione, di fare status. Appunto per arrivare a dire che quello ippico era lo sport dei Re ma anche il Re degli sport. E’ chiaro che se questo è il tema del nostro discorso la prima affermazione è che i Re dell’ippica sono anche quelli dell’Inghilterra. Eh si , dobbiamo tanto alle varie casate che si sono succedute, forse maggiormente agli Stuart, agli Hannover e ovviamente a casa Windsor. Come si fa a non amare Giacomo primo Stuart, il successore di Elisabetta la grande ovvero colui che diede, siamo agli inizi del 600 una sorta di via quasi ufficiale al mondo del Turf nella sua attuale nobile accezione. Infatti lo amiamo, gli dobbiamo almeno Newmarket. Intendiamoci, Riccardo Cuor di Leone di ritorno dalla Terra Santa favorì la importazione di cavalli berberi veloci ma siamo un po' in quel momento magmatico che precede la vera e propria creazione. Più o meno come accadde durante il regno di Enrico VIII e della figlia Elisabetta, in quanto il primo ebbe in dono da Carlo V 25 esemplari di pura razza Spagnola e la seconda diede incarico a Prospero d’Osma, dunque un italiano fu il primo racing manager reale, di seguirne lo sviluppo, lo stato di salute e quanto altro. Robetta dinanzi alla importanza del lavoro di Giacomo, “uno di noi” direbbero in curva. Sua Maestà aveva la sacra passione, poche storie. Si rese conto che il cavallo inglese di allora, sia pure in corse di interminabile lunghezza, mancava della punta di velocità ed intuì che forse lo speed sarebbe potuto arrivare importando cavalli Arabi. Cosa che fece grazie anche alla collaborazione del Duca di Buckingham ovvero George Villiers. Insieme concepirono un vasto piano di importazioni anche se la prima fu una “sola”. Tale King’s Arabian, una tomba in razza. Fa niente perché Giacomo fu colui che regolarizzò o cercò di farlo, le corse che fino ad allora erano delle avventure da un campanile ad un castello. Il Re a Newmarket cacciava ma capì subito che quello era il posto benedetto dal Signore delle Corse. Fece costruire alcune scuderie nel 1605 e sei anni dopo riuscì ad organizzare le corse. Amici, era nato l’ippodromo, vi rendete conto ! Ovviamente pista in erba tanto per mettere le cose in chiaro. Sotto il suo regno partì anche Chester e al vincitore della corsa più importante andavano anche le quote delle iscrizioni ( tanto per chiarire) più la Campana di San Giorgio che poteva tenere per un anno fino alla prossima volta ma dopo qualche anno la Campana divenne premio definitivo e annuale. Ecco inventato anche il premio d’onore. Tutto stava andando alla grandissima perché anche il successore Carlo primo amava cavalli e corse ma il destino , ciclicamente sarà sempre così, aveva in serbo per noi Cromwell. Una sciagura per l’ippica ( non ci permettiamo ovviamente giudizi storici) , come e peggio del decretone del 70 o di quello che ci successe con la liberalizzazione dei giochi a fine millennio. Peggio perchè il povero Carlo fu portato persino al patibolo, comunque non perché era un ippico . In ogni caso il Dittatore proibì le corse e chiuse le scuderie reali vendendo all’incanto tutti i cavalli. Una fortuna per i piccoli allevatori che diventeranno il nerbo del fenomeno ippico a venire. Nel 1658 Cromwell lasciò questa valle di lacrime e salì al trono Carlo II , “ippicissimo”. Pensate che fece ciò che noi in Italia ancora non riusciamo a fare : il calendario annuale di tutte le varie riunioni di corse su ogni ippodromo stabilendo anche i criteri delle varie proposizioni di corsa. Poi ci domandiamo perché sono avanti di un paio di secoli. Durante il suo regno furono selezionate la famose Royal Mares che poi furono incrociate con i tre stalloni caporazza. Giacomo secondo fu il suo successore ma regnò solo 4 anni, salvò il collo ( due regicidi in mezzo secolo non avevano quota al betting) ma ovviamente non il trono. Fuggì e cosi arrivò l’Orange , Guglielmo che aveva sposato Maria , la figlia di Giacomo. Il suo regno durò 13 anni durante i quali fu creato lo stud Book, la anagrafe delle fattrici, e fu importato Byerley Turk , uno dei tre padri della Patria Ippica. Dopo di lui toccò ancora a una Stuart, la Regina Anna, seconda figlia di Giacomo il fuggiasco, esatto quella del miglio più importante del Royal Ascot, le Queen Anne, il top dei top. Ognuno di noi deve venerare la Regina Anna ( lasciamo stare il film da Oscar di Lanthimos, la tratta troppo male) primo perché di fatto delegando le cure del Regno al Duca di Marlborough ( avo di Winston Churchill ) introdusse la monarchia costituzionale ma, ciò che conta per noi ippici, ebbe ottima scuderia, implementò le corse di Ascot, di fatto creando il Royal Ascot e nel 1710 fece disputare la prima Gold Cup ( capito perché il Senatore la voleva vincere per forza?) per cavalli di sei anni e oltre sulla distanza tranquilla di 6400 metri con anche un premio di 60 ghinee offerte da lei stessa. Attenti bene : peso in sella per 6400 metri 76 chili. Era la Gold Cup, non stiamo a fare i difficili, va bene tutto. Non è finita perché durante il suo regno fu importato il vero padre della patria ovvero Darley Arabian dal quale alcune generazioni dopo emerse Eclipse, il Nearco di quei tempi. Nel 1714 la Regina ci lasciò orfani e degli Stuart non vi fu altra traccia cosi per trovare un Re pescarono in Germania importando ( anche i Re dunque si importano ma non da yearling , già domati) Giorgio primo Hannover che, come il figlio Giorgio II non era ippico ma noi eravamo già in salvo. Passione e istituzioni, Jockey Club compreso, erano solide e ben radicate. Comunque fu sotto il loro regno che giunse in Inghilterra , dopo aver persino tirato il carretto dell’acquaiolo, Godolphin Arabian che però era un berbero e non un arabo. Con il suo arrivo e quello degli altri due e con le Royal Mares il Purosangue aveva pieno titolo ed esistenza ufficiale. Giorgio terzo ci inflisse un regno di 60 anni molti dei quali però da pazzo e quindi fu Giorgio IV a regnare come Prince Regent. Meno male perché finalmente riecco un Re ippico alla grande. Vi basti sapere che nel 1788 il suo Sir Thomas vinse il Derby. Eh già, ci siamo arrivati e siamo un anno prima della presa della Bastiglia, il che ci obbliga ad una digressione francese. Prima però sappiate che Giorgio IV , nel 1792, indignato e furente chiuse scuderia e non mise più piede in un ippodromo. I fatti : Newmarket, Escape cavallo di Giorgio favorito a mezzo perde mandando tutti al fosso. Ricorre il giorno dopo, proprio cosi e allora si faceva ( pensate a Signorinetta nel primi 900), e a 5 contro uno vince. I Commissari con lui non potevano prendersela, non sia mai, però con il fantino Chifney si. Lungo appiedamento. Giorgio si inalberò, si offese, chiuse scuderia e non mise più piede a Newmarket, anzi lo boicottò. Siccome però senza corse e cavalli non poteva vivere, ah come lo capiamo, dinanzi a tutto il Consiglio Direttivo del Jockey Club in ginocchio a chiedere scusa decise di perdonare, pensa un po', e riprese a correre ma non a Newmarket dove i suoi colori, non però lui, riapparvero solo 31 anni dopo e nel frattempo aveva anche vinto un St Leger e due Goodwood Cup. Stavolta siamo noi che lo perdoniamo, la passione prima di tutto ma torniamo alla Francia dove , con un secolo abbondante di ritardo e mutuando regole e tutto il resto dalla Inghilterra il Turf stava davvero prendendo piede. Grazie in prima battuta a colui che possiamo definire uno dei grandi libertini del 700,( non perdete in proposito il saggio gioiello di Benedetta Craveri) il Duca di Gontaut Biron, sicuro quello del premio a Deauville, che avendo concupito la consorte del vero genio tecnico di corse inglese Sir Charles Bunbury che era venuto in Francia per studiare il fenomeno, come una spugna assorbì dal Lord tutto ciò che serviva per creare anche in Francia un gran Turf e in collaborazione con il Conte di Artois. In ogni caso Gontaut Biron finì ad una corta incollatura dalle lenzuola di Maria Antonietta, stampato sul palo dal Conte svedese Fersen. La mattina in lavoro probabilmente su quel letto doveva essere passato anche il Conte di Artois ( potenza dei gossip) che era il fratello di Re Luigi XVI e quindi cognato di Maria Antonietta d’Asburgo, figlia della imperatrice Maria Teresa. Il Conte di Artois è un altro che in curva ha il suo canonico striscione che recita … “ Uno di Noi” quindi è sacro per un vero ippico. Forse storicamente dovremmo magari rivedere un pochino il giudizio perché nel 1824 e fino al 1830 ce lo ritroviamo Re di Francia , post restaurazione, col nome di Carlo X e sinceramente è difficile trovare nella Storia un Re peggiore, autoritario, antidemocratico oltre il limite, prepotente e liberticida e tutto il resto. Infatti fu cacciato, tranquilli salvissimo e alle corse in Inghilterra, e al suo posto arrivò Luigi Filippo. Quando era solo Conte di Artois il nostro amico, esattamente come noi , era anglofilo fino al midollo. Era anche un filino “ sola” ma finiva sempre per essere “solato”. Chiariamo subito che si mangiò tutto alla grandissima con i cavalli, un eroe per noi, probabilmente diede parecchio fondo anche alle finanze di Maria Antonietta, “mutty” Maria Teresa non gradiva infatti, che era sempre con lui alle corse e poi alle cene e altro, la Parigi da bere un paio di secoli prima della Milano. Tanto Luigi era a caccia o a riparare orologi. Tutto il bel mondo di Francia andava alle corse nella piana di Sablon e il Conte è stato davvero in grado di organizzare allevamento, corse , enti, regolamenti e tutto quanto necessario. Nello stesso tempo ne combinava di ogni colore. A 18 anni importò dall’Inghilterra , non si inventa niente amici, un grigio a nome King Pepin che è passato alla storia come il primo bidone rifilato all’ippica francese. Con questo cavallo il nostro Conte perse tutto il perdibile e trascinò nel gorgo amici e cognata. Lo pagò 1700 ghinee dell’epoca, era ottimo sui 1200 e solo sul buono. Solo il Conte non lo aveva capito ma il Duca di Chartes si, che poi era quel Filippo Egalitè anche regicida durante la rivoluzione, gentaccia meglio il nostro Conte. Il Duca organizzò un match sui 3000, King Pepin contro il suo Teucer provetto fondista e sotto il diluvio. Andò come doveva andare e il Conte di Artois finì al fosso ma da Signore. Lui , la Regina e i loro amici persero cifre industriali. Non si arrese e importò tale Sphyns un fratellastro di Eclipse addirittura, una tomba in razza. In ogni caso il turf francese gli deve fare il monumento, alle corse portava tutti tranne uno solo, il fratello Re che vietò alla moglie di avere i propri colori . Duchi, Marchesi, Conti, Principi, i primi ricchissimi borghesi e tanta gente appassionata, tutti erano prima a Sablon e poi negli altri ippodromi creati nel periodo come Fontainebleau, Le Verinet, Versailles e Vincennes. Per comprendere meglio a che livello il nostro Artois aveva portato il Turf francese sappiate che nel 1784 Cantador ,un francese , partecipò al derby di Epsom. Straordinario. Sarà stato anche sempre sotto biscotto ma non era fesso il nostro Conte che, appena fiutata l’aria e il profumo della ghigliottina, mollò tutti e filò in Inghilterra. Pessimo Re ma sempre ottimo ippico nei sei anni di regno, durante i quai organizzò lo stud Book, fondò la associazione dei gentlemen, rimise in piedi l’allevamento e molto lo aiutò Lord Seymour di casa in Francia e sei volte capolista creando molto spirito di emulazione. Il seme aveva attecchito, per fortuna e dell’800 ippico in Francia sappiamo bene tutti, è l’epoca in cui assume le sembianze di quello inglese e se volete sapere chi erano i grandi del periodo prendete il libro delle pattern e li trovate nei vari premi a cominciare da Morny che era il fratellastro di Napoleone terzo sempre per restare in tema di sport dei Re. Già, quelli inglesi su tutti. Non Guglielmo IV e meno che mai Vittoria ma il figlio Edoardo, eterno principe di Galles, come Carlo, fu un gigante. Ah quasi quasi e con dolore ma per amore di verità forse più grande persino della Regina dei nostri cuori. Infatti vinse la Triplice corona con Diamond Jubilee ma di nuovo il derby con Persimmon e poi ancora con Minoru che vinse anche le Ghinee mentre le mille le fece sue con Thais. Oltre a tutte le altre super corse che vinse, Coppe comprese ovviamente. Dopo lo zio d’Europa ecco Giorgio V che vinse le Mille con Scuttle ma ebbe anche Friar Marcus. Altro che storie, davvero sport dei Re, infatti Giorgio VI , il babbo, fu il proprietario di Sun Chariot , un punto fermo della storia del turf : Ghinee, Oaks, St Leger cui si aggiunge Big Game che vinse le 2000 e Hypericum le mille. Della nostra Regina sappiamo tutto : Carrozza, Dunfermline, Pall Mall, Highclere e lasciamo stare le delusioni, non è il momento. Sport dei Re o dell’establishment come dimostrato nel 900 , ad esempio, prima dalla sequenza familiare di casa Aga Khan, un meraviglioso punto fermo del turf mondiale, poi progressivamente da tutti i vari Sceicchi o Principi mediorientali a cominciare da quello che abbiamo amato enormemente ovvero Khaled Abdullah ma ovviamente ecco tutti i fratelli , figli e nipoti o mogli Maktoum oppure la casa regnante in Quatar ma insomma è attualità piena e , al limite, ci conferma che , in tutto il mondo avere cavalli è uno Status per chi possiede anche una rilevanza economica e sociale. Perché Re degli sport ? Proprio per questo , perché la mediazione culturale ne ha veicolato i contorni, le regole, il fascino unico ed incredibile che solo chi ha la fortuna di avvicinarsi al nostro mondo può percepire. Re degli sport perché noi ippici ci sentiamo anche come degli iniziati, parte di un mondo che ha incredibili e radicate basi e retroterra culturali che , sempre, debbono essere il nostro punto di riferimento. E’ proprio quando , ahinoi può accadere, ci allontaniamo dai nostri fondamentali che rischiamo di trasformare il Re degli sport in altra cosa terribile. Per questo guai a dimenticare le “lezioni” di alcuni grandi mediatori come ad esempio Van Dine che mise in bocca al suo personaggio, Philo Vance, mentre dialogava con il procuratore generale di New York la spiegazione più elegante e precisa a dimostrazione che il nostro è davvero il Re degli Sport perché ha alle sue spalle tanta cultura : per capire la bellezza di una corsa occorre considerare , esaminare e risolvere tantissime variabili e con intelligenza a cominciare da lunghezza della corsa, tipo di pista, stato del terreno, peso, fantino, forma del cavallo, steccato, schema di corsa e non sarebbe finita. Ecco, Philo Vance oltre a risolvere omicidi ci ricorda sempre quanto sia meraviglioso l’oggetto della nostra passione. Come ha fatto un gigante come Bukowski, leggere le sue tante pagine in materia è come andare alle corse con lui e guai a dimenticare un paio di bottiglie di buon liquore. Oppure andatevi a rileggere la giornata alle corse a San Siro che Hemingway ci regala in Addio alle Armi per non parlare del suo racconto “ Il mio vecchio”. Tutta la letteratura ( ci viene in mente Andrea Sperelli e la sua vittoria alle Capannelle nel Piacere di Gabriele D’Annunzio, pagine emozionanti) cosi come il cinema è costellato di presenza ippica ( ciascuno aggiunga il suo ricordo) , palese testimonianza che il nostro mondo quindi il nostro sport proprio grazie ai cosidetti Re aveva ed ha un posto in prima fila nell’immaginario collettivo. Oggi, il nostro e vostro compito , prima di tutto del vostro giornale , è proprio quello di tenere viva e vitale la fiamma della passione , guai se dovesse diventare cenere. Ognuno di noi e voi , ogni giorno, ha il dovere morale e passionale di trasmettere e ricordare agli altri la magnifica sacralità delle corse e del loro mondo. Per questo il Senatore è sempre in cima ai nostri pensieri, perché è il genio sublime che ci deve ispirare, la perfezione ippica, per questo il nostro cuore coltiva anche un sogno forse impossibile ormai, un derby in cui a trionfare sia la giubba della Regina dei nostri cuori. Che meraviglia fantastica le corse e i cavalli ! Sport dei Re e Re degli Sport, siamone fieri e orgogliosi.