Benessere condiviso, pubblicati gli atti del convegno
In un libro dedicato all’etica, il neurofisiologo Francisco Varela paragona la tradizione occidentale, dove l’etica è affare di regole e ragionamento teorici, alla tradizione orientale in cui la “vera virtù” si pratica ed è rivolta a sviluppare la compassione e il vissuto intelligente è condiviso, dunque nutrito dall’ affettività. Una virtù ben poco assimilabile al ragionamento distaccato e teorico, che prescrive azioni basate su regole e che è nutrito da una visione esclusivamente antropomorfa. La “vera virtù” si fonda dunque su una “coscienza intelligente”, un vissuto consapevole che suppone la capacità di distacco dal “sé”. Questa attitudine è simile all’empatia ma è più complessa, in quanto presuppone la percezione di universi non antropomorfici che definiamo universi percettivi. Essi riguardano gli uomini ma anche il mondo animale e vegetale. Un mondo che è innanzitutto sensibile e comunque non riducibile alla sola ragione, un mondo che non esclude la teoria, se questa viene assunta nella sua accezione originale che in greco significa “contemplazione”, dunque capacità di visione, immagine percepita e interiorizzata non attraverso il ragionamento, ma attraverso segnali che contengono anche il rapporto con l’ambiente e le forme di adattamento e reazione che lo riguardano. Una contemplazione riflessiva che contiene la reciprocità.
Il nostro libro, nella varietà dei suoi contributi, è orientato ad una ricerca che esplora un nuovo orientamento etico e spirituale e che integra l’etologia, oltre l’ormai desueto percorso di un’empatia concettualmente troppo ispirata dalla dimensione antropomorfica. Essere sensibili alla dimensione emozionale e relazionale dei messaggi animali, significa arricchire la nostra percezione intelligente e consapevole nel mondo umano senza riduzionismi antropomorfici, riconoscendo emozioni senza esserne da esse assorbiti, ma con un effetto potenziale di affinamento delle nostre emozioni, in relazione a quelle percepite dall’animale, un apprendimento non intenzionale che ci fa scoprire nuove categorie, nuovi modi di osservare la realtà e di esserne partecipi in modo consapevole (i saggi della seconda parte del volume illustrano da molteplici punti di vista questo percorso mettendo in relazione riflessioni evocative sulla spiritualità -Sua eminenza Don Erio Castellucci- ; aspetti di un’etologia che sottolinea la reciprocità - Maria Lucia Galli, Pia Lucidi, Chiara De Santis e Massimo Da Re-- il ruolo di una comunicazione che pone al centro il quadrupede - Mauro Checcoli, Graziella Zohar- gli effetti terapeutici della cura attraverso la collaborazione degli animali- Vanessa Boyer, Alice Spagnul, Ornella Del Neri e soprattutto Emilio Franzoni e Simona Simone che analizzano attraverso il racconto di esperienze di cura di giovani anoressici, mediante i percorsi IAA – Interventi assistiti con la collaborazione degli animali - l’impatto terapeutico della comunicazione col cavallo. Una comunicazione che, nel caso dell’anoressia- si nutre di aspetti simbolici inerenti il cibo di grandissimo impatto nella vita dei pazienti e nelle dinamiche della cura, impatto vitale e non solo emotivo.
In una recente intervista ad una trasmissione televisiva il nostro Papa Francesco ha sottolineato il ruolo preponderante di uno dei sensi più dimenticati dall’uomo nella comunicazione coi propri simili – soprattutto in tempi di pandemia e di regole di protezione- dal virus: il tatto, veicolo della sensibilità nei confronti dei propri simili, soprattutto delle persone che soffrono, una modalità di comunicazione che ha un ruolo determinante nella vita degli animali. Si pensi alla pratica ancestrale del grooming – interazione volta al benessere reciproco attraverso il contatto, lo strofinamento, il supporto reciproco. Una gestualità che, a ben vedere, è il tratto che ha caratterizzato fin dai tempi più antichi il rapporto medico-paziente, ma che la tecnologia negli ultimi due secoli ha drasticamente ridimensionato, certo non per tutti i medici, – come mostrano i saggi di Francesco Lanza, Maurizio Mascarin, Carlo Gambacorti. Quest’ultimo sottolinea un aspetto spesso obliterato nella relazione medico paziente: il danno che si produce quando la relazione si basa su una falsa comunicazione, sulla simulazione o, peggio ancora, sull’inganno.
L’impatto devastante del COVID 19 a livello mondiale ha enfatizzato questi aspetti, inducendo gli studiosi a rivisitare la storia della medicina in una dimensione più ampia di quella antropomorfica e valorizzando il ruolo avuto nel passato da scienziati che mai hanno abbandonato la dimensione olistica della ricerca e di conseguenza della cura nelle sue diverse coniugazioni, inclusa quella delle cure palliative che non sono più limitate al fine vita, ma risultano strettamente intrecciate alle dimensioni del prendersi cura (Guido Biasco). Da questi approcci olistici in chiave storica, bio-antropologica ed epigenetica si sono sviluppati percorsi di ricerca cha valorizzano le problematiche inter-specie, per quanto riguarda ad esempio l’evoluzione, l’adattabilità, la varietà dei virus (Mirko Traversari, Luca Saragoni, Pier Mario Biava).
Tutti i saggi hanno un filo rosso più o meno nascosto che li accompagna : una visione articolata e non banale dell’empatia. L’empatia come percezione diretta e l’empatia come trasposizione immaginativa. La teoria dell’empatia come percezione diretta funziona nelle situazioni cosiddette “trasparenti”: essa suppone che il soggetto abbia un accesso percettivo all’emozione altrui attraverso le espressioni e i comportamenti Queste teorie oggi sono sostenute dal lavoro di ricerca sui neuroni specchio. Le teorie immaginative dell’empatia sono più appropriate per le situazioni non trasparenti, dove l’espressione emozionale è mascherata, quando l’oggetto intenzionale dell’emozione non è accessibile o quando la prospettiva motivazionale o cognitiva dell’altra persona divergono dalla nostra. L’empatia dipende da una certa flessibilità immaginativa che si sviluppa progressivamente, nella misura in cui diventa capacità di decentrarsi da se stessi e immaginare desideri ed emozioni diverse dalle nostre. Che sono in grado di potenziare la relazione terapeutica, di trasformarla in un compimento reciproco (Stefania Spadoni, Antonio Lo Perfido). La comunicazione inter-specie è molto particolare, ma va detto che i grandi passi in avanti dell’etologia hanno creato fantastici effetti di avvicinamento, mostrando ad esempio che i cavalli hanno la percezione di sé quando si trovano davanti ad uno specchio e che ci sono reazioni di condivisione coi propri simili e non solo, ad esempio quando ne viene percepita la sofferenza. Gli ormai consolidati percorsi della Pet-therapy con gli animali hanno mostrato la loro grande sensibilità di fronte alla sofferenza, alla fragilità, al disagio delle persone e la necessità di far crescere anche da parte degli umani un atteggiamento di reciprocità, di attenzione nei confronti delle altre specie quando si opera insieme per il BENESSERE CONDIVISO.
L’empatia ha dunque assunto una dimensione ecologica ormai ineludibile soprattutto se rimettiamo in gioco le sue radici storiche e filosofiche. Il concetto è stato introdotto a fine Ottocento da Robert Visher studioso di arti figurative, nell’ambito della riflessione estetica, per definire la capacità della fantasia umana di cogliere il valore simbolico della natura.