Alba con galoppo tra... pensieri ed emozioni!
Minuscole goccioline di nebbia mi bagnano il viso.
Fa freddo, più di quanto ci si potrebbe aspettare ai primi di ottobre.
Il berretto di lana grigia comprato ieri sera al Monoprix è quel che ci vuole, insieme ai guanti e alla giacca impermeabile che porto sempre con me.
Il ritmo vibrante del galoppo sul terreno umido e morbido mi risuona dentro come un mantra, una forza primordiale che acuisce i sensi. Mi riempio dell'attimo, nei suoi profumi e rumori di foresta autunnale.
Amazzone e destriero, il nostro respiro all'unisono, il calore del suo collo mi scalda le mani che sfiorano la criniera rasata. È il galoppo di un piccolo branco di criollos argentini, andiamo a redini leggere, per lasciar loro la libertà di giocare.
Gli alberi enormi intrecciano i rami sopra di noi, creano gallerie lussureggianti come a racchiuderci in un mondo a parte, permesso solo a pochi. Qualche sgroppata mi richiama dal mio sogno ad occhi aperti, alzo appena le mani, in un richiamo gentile, sorrido tra me e me, e riprendiamo la scia degli altri. Si trotta, controllo velocemente che il copri reni di lana grigio e arancio sia ancora al suo posto e che i sacchetti di plastica non siano scivolati fuori dalla mia tasca. È ancora piuttosto buio, ma la nebbia se ne sta lentamente andando per lasciare il posto a una timida luce rosata. È l’alba, l’inizio di una giornata come tante per le amazzoni dell’Académie du Spectacle Equestre de Versailles.
Gratto con le dita il garrese di Nerveux , lascio le redini lunghe, mentre camminiamo sul vialetto di terra battuta. Alla nostra destra si staglia una villa antica, ristrutturata come hotel di lusso immerso nel verde. Non si vede nessuno, solo poche finestre illuminate. I cavalli tendono le orecchie: succede sempre qui, vicino ai grandi paddock abitati da cavalli di ogni genere, probabilmente a fine carriera, sull'altro lato della strada. Qualcuno si avvicina, curioso, mentre gli altri continuano pigramente a mangiare il fieno vicino alle capannine.
Le ragazze chiacchierano tra loro, pochi metri davanti a me, ma io sono assorta, come sempre, nei miei pensieri. Ripercorro mentalmente il mio arrivo in scuderia un'ora fa, il piacere, seppur velocissimo, del the alla menta bevuto nella minuscola cucina, leggendo il programma della giornata su un foglietto di carta scritto a matita. L'odore della selleria, nel suo ordine maniacale, mentre infilavo le ghette di cuoio marrone sotto lo sguardo inquietante del grande scheletro equino dipinto di rosso, che troneggia come un monumento al centro della stanza. Fortunatamente gli argentini stanno li a pochi passi, data la pesantezza e l'ingombro della loro bardatura di scena, in stile portoghese. Per la passeggiata però ho preso una sella semplice, solo la testiera è sempre la stessa dello spettacolo, anch'essa finemente decorata. Pochi minuti per preparare il cavallo, rimettendo rigorosamente spazzole e nettapiedi nella cesta appena fuori dal box, e subito in sella, ancora sotto le volte maestose della Grande Écurie, opera del Mansart. Per una volta ho finito di sellare per prima e sono riuscita a infilare con calma giacca e berretto aspettando le altre amazzoni.
Sono le 7.45, mentre ci lasciamo alle spalle alcuni tratti di strada asfaltata e oltrepassiamo al passo qualche piccolo cancello verde in direzione di un altro tratto di foresta. La mia mente va già al mio secondo impegno delle 9, muovere alla longia nel tondino Goya, un lusitano con alle spalle molti anni di addestramento. Se rientriamo in tempo potrei anche riuscire a fare colazione.
Eccoci di nuovo nel bosco, il terreno è ottimo, ne approfittiamo per mettere i cavalli in mano e accennare qualche falcata di spalla in dentro e travers al trotto. Io, che rimango nelle retrovie, posso godere dell'immagine delle tre groppe rotonde dei criollos, coperte dai copri reni grigio arancio, che ondeggiano ritmicamente alle variazioni di andatura. Allo stesso tempo danzano le lunghe code delle loro amazzoni, due bionde e una di un rosso deciso, contrasti d'effetto sulle giacche azzurro chiaro. Cavallo e cavaliere sono eredi di un’eleganza millenaria, declinata nelle più diverse sfumature durante i secoli. Ed è un privilegio essere qui, alla ricerca spasmodica di un'arte quasi perduta, eppure presente, solenne, che traspira da ogni muro, da ogni ciottolo, da ogni portone.
Ci inseriamo nel labirinto di alte siepi squadrate e reticolati verde laccato, incrociamo qualche passante col cane al guinzaglio e ciclisti mattinieri. Nei loro sguardi, a volte, puoi cogliere la meraviglia di chi vede un cavallo da vicino e rimane incantato, come i bambini..
In questa parte del parco è possibile vedere dei piccoli branchi di cinghiali e qualche cervo, oltre ad uccelli di ogni tipo.
Superato l'ultimo cancello, oltrepassiamo una fila di alberi e giriamo a sinistra. Improvvisamente il sole ci investe in piena faccia, nel suo calore pieno e rivitalizzante. Tutto, come per magia, è tinto d'oro lucente, e non c'è sforzo o sacrificio nella vita di un cavaliere che non valga questo spettacolo indimenticabile. Nerveux tende le redini, i cavalli anticipano il galoppo che sta per arrivare.
Sotto i piedi, una lunga lingua di erba verdissima rasata di fresco, pochi metri sulla destra il Grand Canal, distesa d'acqua resa abbagliante dai riflessi del sole che sta sorgendo proprio davanti a noi, sopra i tetti della reggia di Versailles, che si staglia in tutto il suo proverbiale splendore, in un gioco cromatico che solo la natura sa creare.
Partiamo al galoppo al solo cedere delle redini, e qui mi sento parte della storia, della tradizione, perché posso toccare il cielo con un dito, quasi volare.
Il castello si avvicina sempre più, rallentiamo. Al passo attraversiamo gli ultimi tratti di giardino, proprio sotto la reggia, costeggiando gli specchi d'acqua più famosi, come il Bassin de Neptune.
Nerveux alza la coda, mi devo fermare. Metto piede a terra, le redini in una mano, l'altra fruga velocemente in tasca a prendere il rotolo dei sacchetti. Ne stacco uno, lo risvolto e con le mani infilate dentro raccolgo le fiande. Poco più avanti, dove mi aspettano le altre ragazze, c'è un cestino per i rifiuti. Rimonto in sella, lancio il sacco chiuso da un nodo nel cestino e proseguiamo. Una breve galleria e siamo nella parte anteriore della villa, si vedono la strada, già ben trafficata, i semafori, la Petite Écurie e La Grande Écurie, sede dell'Académie. Nell'area antistante il cancello ci sono già diversi autobus parcheggiati e gruppi di turisti si riversano oltre i cancelli, armati di macchina fotografica.
8:25. In pochi minuti attraversiamo la strada e percorriamo l'asfalto della contr’allée, si riapre il portone e comincia una nuova giornata per les écuyeres de Versailles. I box sono stati fatti, chi non è uscito in passeggiata è già in sella o a lezione di canto o di scherma in una delle aule ai piani superiori. Tra le storiche mura della Grande Écurie amazzoni,cavalieri (pochi) e cavalli rappresentano i colori della tavolozza che il genio artistico dell'Academie, Bartabas, rimescola nei suoi visionari capolavori, con un ritmo che non ammette soste né incertezze, dove l'individuo è una piccola tessera di mosaico dell'emozione, dell'istante perfetto, della creazione.
Dedicato a Patrizia Carrano