Addestramento del cavallo: porre un limite alle pressioni
In molti siamo cresciuti applicando il principio di comodità-scomodità per addestrare i cavalli. Il concetto è semplice, viene applicata una pressione sino a quando il cavallo non manifesta il comportamento voluto, a questo punto si interrompe lo stimolo e il cavallo associa una sensazione di sollievo alla risposta data che viene così incentivata. Si tratta di un tipo di rinforzo, aumenta cioè la possibilità che si manifesti il comportamento associato, negativo, nel senso che il rinforzo è dato dal togliere uno stimolo. Questo tipo di apprendimento è di tipo operante.
Quando vogliamo che il cavallo risponda con un movimento, ci viene insegnato ad aumentare la pressione progressivamente sino al raggiungimento dell'obiettivo, quando vogliamo che il cavallo accetti uno stimolo di cui normalmente ha paura, questo viene invece mantenuto costante. In entrambi i casi il tempismo nel rimuovere lo stimolo è di primaria importanza. Dal manifestarsi del comportamento voluto abbiamo non più di 2 secondi se vogliamo che l’apprendimento sia appropriato.
Partendo dal presupposto che è preferibile premiare un dato comportamento utilizzando rinforzi positivi, cioè quando il premio non è la rimozione di una pressione, ma un incentivo diretto al comportamento, saremo sempre vincolati all'applicazione di pressioni perché è sulla base di queste che si costruisce il linguaggio con cui guidiamo il cavallo. Per pressioni intendo non solo quelle fisiche ma anche il nostro linguaggio del corpo ed assetto. Quindi, io mi chiedo, sino a dove spingersi nell’applicare tali pressioni? Dove finisce l'apprendimento, quindi l'equitazione, utile e rispettosa?
Mi sono data queste risposte.
1) UN LIMITE OLTRE IL QUALE È VIOLENZA. Dobbiamo darci un limite fisico di intensità oltre il quale non andare, superato, diventiamo violenti. Personalmente, questo limite è molto basso. Se il cavallo non mi risponde è perché non mi capisce o non è pronto, o prova in qualche modo dolore. Molti risponderanno che la velocità con cui otteniamo una prestazione è di vitale importanza a questo mondo, posso rispondere che più importante del risultato è la qualità dello stesso, oltre al processo con cui è stato ottenuto.
2) IL CAVALLO HA PAURA. Se applichiamo una pressione allo scopo di avere un movimento, se cerchiamo quindi di sensibilizzare il cavallo alle nostre azioni insegnandogli a rispondere prontamente, non dobbiamo mai superare il limite della paura. Occhi sbarrati, sudore, muscoli tesi pronti a fuggire, ci dicono chiaramente che non possiamo mettere più pressione di quanta non stiamo già ponendo. Meglio fare un passo indietro, calmarci entrambi e spiegarci più correttamente.
3) IL CAVALLO STA' PROVANDO A DARE UNA RISPOSTA. Il cavallo ha capito che vogliamo qualcosa da lui ma non sa ancora cosa. Non continuiamo ad aumentare il livello di pressione, sino a quando fa tentativi di assecondarci rimaniamo costanti. Un tentativo sbagliato non va confuso con un grave comportamento da punire, aumentando le pressioni ulteriormente la risposta sarà data più dalla paura che dalla comprensione. Ricordiamoci che non siamo solo quelli che rimuovono uno stimolo ma anche e soprattutto, quelli che mettono costantemente pressioni.
4) IL CAVALLO NON HA LE CAPACITA/POSSIBILITÀ in questo momento. La nostra sensibilità e capacità di porci nei panni del cavallo dovrebbe metterci al riparo da questo errore. Ciò che chiediamo è alla portata del cavallo in questo momento? La richiesta sta provocando in lui uno stress eccessivo che potrebbe fargli ricordare negativamente questa situazione e la nostra presenza? Calma e decontrazione sono alla base di un corretto apprendimento, non è giustificato tutto ciò che il cavallo può fisicamente fare ma solo ciò che può fare senza danneggiarsi nel fisico e nella mente. Se abbiamo obbiettivi ambiziosi, una corretta progressione di insegnamento, dal semplice al complesso, ci metterà riparo da gran parte di questi errori.
Per me come per molti, scoprire il concetto di comodità-scomodità ha fatto la differenza tra essere efficaci e comprensibili per il cavallo, un'efficacia però potenzialmente pericolosa, che giustifica pressioni altrimenti catalogate come violenza. Esorto a riflettere che quando il cavallo non vuole fare qualcosa è sempre per un motivo, mettere un disagio più grande di quella motivazione per avere la risposta desiderata spesso non è la soluzione giusta, non potendo parlare, non sapremo mai se la ragione del suo dissenso è dovuta a dolore, ansia o incomprensione, una miriade di possibilità che escludono quasi sempre il semplice “non voglio”.
Ancora una volta la tecnica deve piegarsi alla nostra etica che, ovviamente, è un concetto molto personale.