70 anni fa nasceva Ribot: ce lo racconta Renzo Castelli
Imbattuto nelle sedici corse disputate, anche a livello internazionale, dal 1954 al 1956, Ribot è stato considerato da molti, per la potenza dei suoi mezzi, il cavallo più importante del XX secolo.
Ribot nacque in Inghilterra, a Newmarket per la precisione, il 27 febbraio del 1952, suo padre eraTenerani, madre Romanella. Era di proprietà della scuderia Razza Dormello Olgiata che apparteneva allora a Federico Tesio, allevatore e allenatore, e al marchese Mario Incisa della Rocchetta, che ne era diventato socio nel 1932.
A guidare Ribot in tutte le sue vittorie fu il fantino Enrico Camici, uno dei tanti nomi illustri dell’ippica pisana.
Si è appena concluso un fine settimana di festeggiamenti: sabato 26 e domenica 27 febbraio Pisa ha ricordato RIBOT, con un convegno nel Palazzo Comunale della città per celebrare le grandi imprese sportive (sabato) e con il “Ribot day”che si è svolto presso l’Ippodromo di San Rossore (domenica) con il “Premio 70° anniversario”, e con la 14ma edizione della “Ribot Cup”, manifestazione che ha visto impegnati in tre gare alcuni fra i più promettenti giovani fantini d’Europa (a essere precisi, a dire il vero, il trionfo è stato tutto femminile: il conteggio di vittorie e piazzamenti ha decretato vincitrice infatti la ventenne inglese Laura Pearson).
Ma chi può raccontarci la storia, e le storie, legate al nome, e alla leggenda del mitico Ribot meglio di Renzo Castelli? Castelli, giornalista e scrittore, voce autorevole del mondo dell’ippica, è infatti autore, fra i tanti, di un “ritratto” dal titolo Ribot. Un campione e la sua epoca (Pacini Editore).
In esclusiva per i lettori di Cavallo2000 ecco una sua intervista, volta a ricostruire, seppur brevemente, la figura del campione.
Castelli, a 70 anni dalla sua nascita, perché ricordare Ribot?
Per due motivi, uno tecnico e uno affettivo. Nelle sue performance internazionali ad Ascot e a Lon-gachamp il cavallo batté, anzi strapazzò, tutti i più forti cavalli dell’epoca, europei e americani. Il secondo motivo è affettivo. Ribot, con le sue imprese aiutò l’Italia a uscire dal buio della guerra. Tutto ciò perché lo sport alimenta lo spirito popolare di rivincita e di coesione nazionale. Nel dopoguerra era già avvenuto con i successi olimpionici del discobolo Adolfo Consolini nel ’48 e di Zeno Colò nel ’52, con quelli di Gino Bartali nel tour de France nel ’48 e di Fausto Coppi nel ’49 e nel 52. Ribot completò questa magica rivincita dalla quale prese il via, e forse non è un caso, il miracolo eco-nomico.
Ma se era nato a Newmarket, in Inghilterra, quale è stato il suo legame con l’Italia, e Pisa in particolare?
Ribot nacque a Newmarket perché Tesio mandò la madre Romanella a partorire là per disegni allevatori. Ma visse poi in Italia trascorrendo le stagioni delleo svernamento, da yearling nel 1953 e poi nel ’54, infine nell’autunno-inverno 19556-56. Divenne tanto popolare a Pisa che nacque anche una squadra di calcio che si chiamava “Ribot”.
Federico Tesio era il suo allevatore, eppure non lo amò mai, né ebbe modo di vedere la sua prima vittoria…
Tesio morì il 1° maggio del ’64 quando aveva 85 annui. Vide Ribot puledrino e non gli piacque perché gli sembrò molto ordinario nel fisico, lui che era un esteta. Ma ebbe la sfortuna di non poter avere il tempo per vederlo allenare.
Il libro contiene molti aneddoti, sulla vita avventurosa di questo cavallo che di fatto è stato un grande “personaggio”. Ce ne cita uno?
Pochi sanno che Ribot nel 1956 corse ad Ascot e a Longchamp con una leggera zoppia per un colpo all’anteriore destro che aveva rimediato nel Gran Premio di Milano di metà giugno di quell’anno. Fu grazie a una miracolosa ferratura del grande maniscalco Antonio Parola che riuscì a rimediare in qualche modo a quell’handicap e a vincere egualmente.
Si può dire che il libro ricostruisca, attraverso le vittorie di Ribot, un’intera epoca?
Come ho già detto, Ribot, con le sue imprese internazionali, portò a suo modo un mattone alla rico-struzione dell’Italia dopo la guerra.
Come tutti i “geni” che si rispettano anche Ribot aveva il suo tallone d’Achille. Ci dice qualcosa del suo carattere?
Era molto bizzoso. Per tranquillizzarlo gli misero nel box prima un gatto, poi una capretta. Ma trovò la calma soltanto grazie alla sua amicizia con il coetaneo Magistris che seguiva sempre fuori dal box, in allenamento, salendo e scendendo dal van o dall’aereo. È stata un’amicizia che ormai fa parte della storia del galoppo italiano.
Lei ha un ricordo personale di questo cavallo?
Tanti. Io sono nato a San Rossore, ho visto il successo di Ribot nel premio “Pisa” del ’55, sono stato amico dell’allenatore Penco e del fantino Camici con tutto quel che consegue: un’aneddotica per la quale ora non potremmo veramente avere spazio sufficiente.
Secondo un certo calcolo: “al cambio italiano dell’epoca la somma delle vincite di Ribot corri-spondeva a 175 milioni e 858 mila, al cambio attuale circa 12 milioni di euro, 25 miliardi di vec-chie lire”. Oggi sarebbe pensabile una cosa del genere?
Credo di sì. Grazie alle immense somme distribuite soprattutto nei Paesi arabi oggi si possono rag-giungere e superare quelle cifre.
Che cosa, secondo lei, ha reso davvero unico, e forse irripetibile, questo cavallo?
La natura. Ad ogni ispirazione Ribot immagazzinava 26 litri d’aria, il 30 per cento in più di un nor-male cavallo da corsa. Era una caratteristica anatomica che lo accomunava a Coppi grazie a una cavi-tà toracica più profonda. E poi il cuore e il cervello. Perché tutti i cavalli hanno i muscoli e i polmoni per correre ma il cuore serve per lottare, il cervello per vincere. E Ribot aveva un grande cuore e un grande cervello, che poi è il senso stesso del traguardo.
Ringraziamo Castelli e invitiamo chi si è incuriosito e vorrebbe saperne di più… a leggersi il suo libro, non se ne pentirà!