Ricordando Albino Garbari: un uomo di cavalli
"Ce lo hanno sempre invidiato tutti" diceva Adriano Capuzzo di Albino Garbari. C'era, in quella frase, una punta di dolente rammarico: secondo Adriano (quasi) mezzo secolo di incessante lavoro svolto ai Pratoni del Vivaro da quell'uomo schivo, gentile, di sconfinata serietà, di altrettanto sconfinate capacità e generosità, impareggiabile costruttore di percorsi, non aveva avuto la sufficiente considerazione.
In un suo scritto sul Completo Olimpico uscito postumo, Capuzzo esordiva con una dedica appassionata "ad un uomo eccezionale che ha fatto del Completo la sua vita, dando a tutti noi e ai nostri cavalli il suo ineguagliabile aiuto in qualsiasi circostanza con generosità professionalità e tenacia: Albino Garbari. Quando un cavallo veniva selezionato e si scuderizzava ai Pratoni per la preparazione finale - siano Olimpiadi o Mondiali o Europei - Garbari gli metteva la sopraccoperta Fise e da quel momento diventava suo. Non lo abbandonava più. Per trent'anni vicino al veterinario Menichetti e al maniscalco Germano, ha formato la struttura portante del benessere dei nostri cavalli.(...). Grazie Albino!". Era un sentito riconoscimento, ma anche un tentativo di risarcire l'amatissimo amico delle molte amarezze che gli erano toccate nel vedere il disfacimento del Cef.
Per Garbari i Pratoni sono stati il mondo, la casa, la palestra, il laboratorio di una vita dedicata allo sport come lui lo intendeva. Era stato assunto dal Coni nel '65 ( ricordava sorridendo che per trovargli una collocazione era stato qualificato come "archivista dattilografo"). E dai Pratoni non se ne è andato più, anche quando trent'anni dopo era andato in pensione.
E' giusto che la schiva disponibilità di Albino - di uno dei massimi costruttori di percorsi del mondo, che ha firmato anche il cross delle Olimpiadi di Atene - diventi leggenda. E' giusto - come ha scritto tanto bene in questi giorni Umberto Martuscelli - che si continui a immaginarlo lì, con la sua scassata utilitaria bianca che s'affaccia da una delle collinette di quei campi verdi che pare vengano finalmente restituiti all'equitazione. E' giusto che chi oggi pratica il Completo ricordi il suo inconfondibile occhio di uomo di cavalli e la sua assoluta dedizione: in una intervista ( molto bella) che forzando la sua natura riservata gli ha "estorto" Caterina Vagnozzi nel '99, Albino ricorda, a proposito di una trasferta in Germania: "il cavallo di Amedeo Fantigrossi dopo le prove di campagna aveva dei problemi ai tendini e Menichetti mi disse di tenerlo per mezz'ora nel torrente gelato: il risultato per il cavallo fu miracoloso ma io rischiai la broncopolmonite. Era autunno inoltrato".
Fui io a dargli una copia di quella intervista, che lui aveva trascurato di comperare. Per ringraziarmi esaudì un mio desiderio e mi portò a vedere la piscina circolare, allora in funzione al Cef. Voleva far fare due giri, con una breve interruzione fra l'uno e l'altro, a un cavallo in riabilitazione. Il cavallo non era mai entrato in acqua, era inquieto, spaventato. La mano di Albino lo calmò, lo voce lo persuase. Non ci fu un solo momento di ruvidezza, neppure a fin di bene. Il cavallo si fece convinto e gli si affidò. In quei pochi istanti Albino aveva rinnovato l'intesa interspecie che alcuni millenni fa ha dato l'avvio alla domesticazione.
Albino se ne è andato, ed ora sono i Pratoni a dover tornare quelli che erano. Glielo deve l'equitazione, glielo dobbiamo tutti.