Non si uccidono così anche i cavalli?
2 GENNAIO 1998. L’Ippica Italiana è alla vigilia di una svolta epocale: sta per essere abolito il lunedì come giorno di riposo per tutti (ippodromi, agenzie ecc), stanno per essere introdotte le corse al mattino come regola e non come eccezione mal tollerata in via sperimentale. Il vicedirettore ENRICO MAIDA scrive sul Corriere dello Sport-Stadio un rovente editoriale dal titolo “Non si uccidono così anche i cavalli?”: Lo riproponiamo come momento di riflessione alla vigilia di un’altra, presunta svolta epocale per l’Ippica Italiana: il varo del Piano Industriale per il rilancio del settore promesso dal ministro dell’agricoltura LUCA ZAIA.
NEL ’69 USCI’ un bellissimo film di Sydney Pollack dal titolo “Non si uccidono così anche i cavalli?”. Jane Fonda e Michael Sarrazine erano due ballerini impegnati in una massacrante maratona di ballo che avrebbe premiato i più resistenti, gli ultimi a crollare, con 1.500 dollari. Ho ripensato a quel film nel leggere che a partire da domenica negli ippodromi di trotto si correrà anche la mattina. E che si correrà anche il lunedì, giorno tradizionalmente consacrato ai paddocks.
L’ippica è seriamente preoccupata dall’imminente irruzione calcistica nel mondo delle scommesse ed è non meno preoccupata del buco di 463 miliardi sul movimento di gioco del ’97. Da qui, si presume, l’idea di aumentare il numero delle corse, senza peraltro aumentare i premi, nella speranza che crescano anche le scommesse. Idea per lo meno bizzarra, che non trova applicazione in nessun Paese evoluto ed è svalutata dallo stesso ambiente dell’ippica: il movimento di gioco sulle Tris è diminuito da quando le Tris si corrono praticamente tutti i giorni.
Dunque si tratta di una idea sbagliata, prodotta ancora una volta da una organizzazione sempre più sgangherata. Non a caso, dopo oltre 4 anni, all’Unire c’è ancora un commissario, l’esimio generale Pisani, al quale non si può chiedere conto di ciò che accade e soprattutto di ciò che accadrà essendo assai limitati il suo potere e la sua competenza. E però, come nel caso delle Tris truccate, sarebbe opportuno che il Ministero delle Finanze desse un’occhiata. Perché se l’ippica diminuisce ulteriormente le entrate, ne risentirà anche l’erario, per non parlare dell’occupazione.
Ci sono poi altri due aspetti da non trascurare. Il primo, di carattere etico, chiama in causa i clienti dell’organizzazione. Vi pare elegante proporre una spremitura ulteriore, peraltro improbabile, a chi scommette? Quale può essere l’identikit dello scommettitore mattutino? L’Unire immagina forse di allietare le giornate dei pensionati, notoriamente facoltosi? O forse crede che gli italiani debbano giocare sempre di più, magari abbandonando il posto di lavoro? Strano che il caso delle Lotterie inflazionate non abbia illuminato i padroni del vapore.
L’altro aspetto è quello sportivo. Perché, per quanto non sembri, l’ippica è ancora, per molti appassionati, uno sport. Aumentare senza ritegno il numero delle corse significa spremere non solo gli scommettitori ma anche i cavalli. A meno di incrementare il contingente di brocchi che già affollano gli ippodromi per una politica allevatoria sballata.
L’ippica è preoccupata per la prossima invasione del calcio, ma dovrebbe essere molto più preoccupata da se stessa. In tanti anni, fatte rare eccezioni, nessun progetto serio di rilancio e di immagine è stato portato avanti. Campa cavallo che l’erba cresce, potrebbe essere lo slogan dell’unire. Che non aveva calcolato Attila.