La violenza sui cavalli è violenza su noi stessi!
Siamo in campo prova, ci sono almeno 10 cavalli e 5 o 6 istruttori. “Vieni ancora una volta sul verticale e poi entriamo!” Urla uno di loro nel caos. L’allievo si fa strada, chiama l’ostacolo, si avvicina e agli ultimi due tempi di galoppo il cavallo scarta sulla sinistra finendo addosso al gruppo di istruttori. “Dagli due frustate e ritorna!”. IL ragazzino obbedisce come un automa, fa del suo meglio per punire l’animale, e torna a saltare, riuscendo nell’intento col cavallo rovesciato e fuori controllo.
Questo è un esempio banale, una situazione comunissima che molti di noi hanno vissuto in prima persona. Servirebbero molte pagine per descrivere tutte le situazioni “normali” in cui si vede della violenza sui cavalli. Ma andiamo al punto. La violenza sui cavalli è violenza su di noi.
Ogni qual volta accettiamo di vedere, o tolleriamo per ragioni “politiche” un’espressione di violenza, siamo noi stessi a subirla. L’allievo dell’esempio poco sopra è vittima, insieme al cavallo, di un sistema che troppo spesso considera l’uso di violenza parte integrante dell’addestramento e della sottomissione. Quando parlo di sistema, non mi riferisco unicamente all’equitazione sportiva e agonistica, bensì al mondo del cavallo in generale e a tutte le pratiche in cui l’uomo si relaziona al cavallo. Sarebbe ingiusto in questo caso puntare il dito unicamente sugli “sport equestri”, perché se andiamo ad approfondire la nostra conoscenza degli ambiti “etologici” , scopriamo presto che anch’essi non sono esenti da manifestazioni di questo tipo. Fortunatamente esistono persone di cavalli, sportivi e non, che rifiutano l’uso della violenza e sanno ben interpretare i concetti di apprendimento e addestramento rimanendo sempre leali nella relazione con l’animale. Non è detto, però, che dietro a un marchio conosciuto e degno di fiducia ci sia una di queste figure.
Se mettiamo il rispetto e la relazione col cavallo al punto di partenza, va da sé che ogni mezzo di coercizione va bandito. Il cavallo ha il diritto di dissentire, sempre. Questa è la base di ogni relazione che abbia un senso e non va mai dimenticato. Non c’è fine, traguardo, ragione al mondo che giustifichi l’uso della violenza per ottenere sottomissione.
Questo non vuol dire che dobbiamo lasciarci trascinare dal cavallo dove lui decide o limitarci necessariamente ad osservarlo da lontano mentre pascola e interagisce solo coi suoi simili. Dobbiamo studiare e applicare tutte le strategie migliori - che grandi maestri hanno fatto proprie e ci insegnano - rimanendo leali col nostro compagno, sempre.
Ci sono tanti motivi per cui l’atteggiamento dell’uomo verso il cavallo può sfociare in violenza, primo fra tutti l’incompetenza. Dal momento in cui l’addestratore non ha più risorse a cui attingere nella rosa delle sue conoscenze, subentra la frustrazione che spesso spinge ad atti violenti. Siamo esseri umani e questo genere di sensazioni è per noi comune. La difficoltà sta nel rendersi conto per tempo che stiamo andando nella direzione sbagliata e fermarsi, fare un passo indietro e scegliere una strategia diversa. Anche la fretta va di pari passo con un addestramento lacunoso dall’esito nefasto per la relazione. A volte invece le competenze ci sono, molto specifiche e radicate, portate in palmo di mano assieme alla bandiera di uno dei tanti metodi di addestramento di nuova concezione. Attenzione, però: se una pratica lascia perplessi dal punto di vista etico, se la sensazione profonda che quest’atto ci trasmette è negativa, poco importa se chi la propone è qualificato da un metodo “per il benessere del cavallo” . Va sempre ricordato che, qualunque sia il nostro credo, non c’è maestro degno di tale epiteto per cui possa valere un risultato ottenuto attraverso la coercizione e la punizione. Qualche volta una grande fede rende ciechi, basti pensare alle guerre di religione che da sempre straziano l’umanità.
Un bambino va educato esattamente come un puledro viene educato dagli altri componenti del branco, per il bene del singolo e della comunità. I cavalli tra loro si prendono a calci, quando gli avvertimenti vengono ignorati. Ma noi non siamo e non saremo mai cavalli, e per bene che possiamo interpretare e simulare la natura equina, non glie la daremo mai a bere. Motivo per cui non abbiamo nessun diritto di prenderli a calci come non vogliamo che loro facciano con noi.
Da qui il mio invito ad acuire i sensi, ed imparare a percepire dove finisce la conoscenza ed inizia la violenza. Il medioevo è finito, storicamente parlando. Lasciamo ai libri e ai musei le pratiche medievali, e viviamo la nostra relazione con loro come si conviene ai tempi moderni.