Jean Rochefort, l'attore che ha saputo imparare dai cavalli.
Un colpo di fulmine. Scoccato quando aveva trent'anni e durato fino al suo ultimo giorno di vita. Una passione che ha influenzato il suo lavoro, che lo ha indotto a girare un piccolo film documentario su una ragazza appassionata di equitazione intitolato "Rosine"; che gli ha fatto scrivere un libro sui cavalli raffigurati nelle opere d'arte esposte al Louvre; che l'ha trasformato in un apprezzatissimo allevatore, e in un buon cavaliere. Una passione che - a suo dire - ha influenzato, o meglio raffinato, la sua sensibilità di interprete: "Dai cavalli ho imparato a non fare troppo, e a muovermi con compostezza. Ad essere un attore migliore".
Di chi stiamo parlando? Del grandissimo attore (non un divo, ma molto, molto di più) Jean Rochefort, mancato alla ragguardevole età di 87 anni, la cui morte è stata considerata una gravissima perdita per il mondo del cinema e per quello dell'equitazione.
E pensare che fino ai suoi trent'anni dei cavalli aveva avuto paura, pur essendo il nipote d'un cocchiere. L'incontro fatale avviene nei primi anni Sessanta,quando il suo amico Jean Paul Belmondo lo propone al regista Philippe De Broca, quale comprimario del film che i due hanno in preparazione: "Cartouche". Poiché il trentenne Rochefort era già conosciuto come attore teatrale raffinato e capace - e in più con un viso fortemente caratterizzato, lungo, espressivo, indimenticabile - De Broca accetta subito la proposta. L'unica condizione è che Rochefort sappia montare: il film ambientato nella Francia della Reggenza, racconta con tono scanzonato le avventure di una banda di borsaioli, capitanata, appunto, da Cartouche: scazzottate, inseguimenti a spron battuto. Rochefort non era mai salito in sella in vita sua, ma Belmondo giurò che se la sarebbe cavata benissimo.
Rochefort prese qualche lezione, finì per le sacre terre più e più volte, ma riuscì a cavarsela, e finì il film, con due costole incrinate. Ma il dardo della passione lo aveva raggiunto. Fece qualche mese di convalescenza e passò due lunghe estati in Camargue dove due istruttrici, che egli ha sempre ricordato con inesausta gratitudine, "mi hanno regalato una certa confidenza con il cavallo. E da allora io e l'equitazione, e più ancora l'allevamento, non ci siamo più lasciati". Rientrato a Parigi si affida a Marc Bertrand de Balanda - campione internazionale di salto ostacoli, cresciuto nel Cadre Noir de Saumur, che per tutta la vita gli resterà vicino come amico e consigliere - e diventerà un eccellente cavaliere di concorso Completo. Una scommessa difficile per chi ha cominciato a montare così tardi.
Ma Rochefort non si contenta di montare in Completo, di lavorare con i maestri, di gareggiare con i gentlemen riders, di raggiungere Nelson Pessoa in Brasile. Vuole diventare allevatore. E si sposterà a vivere in una tenuta vicino a Rambouillet, dove arriverà a possedere anche trenta cavalli. A ognuno di loro darà il nome di un film: Alphaville (diretto da Jean Luc Godard) è il nome di una cavalla che ha partecipato a numerosi derby. Rochefort è stato il primo allevatore francese a tentare il trapianto di embrione in una cavalla. E alla puledra nata da quella pratica ha dato il nome di Utopia. Frequentando il mondo equestre incontra colei che diverrà la sua seconda sua moglie, Francoise Vidal, con cui vivrà senza più "distrarsi": " Prima di allora " raccontava Rochefort "avevo avuto delle storie d'amore con delle donne che di cavalli non sapevano nulla: se erano erbivori o carnivori... Con Francoise le nostre passioni si sono intrecciate diventando patrimonio comune".
Nel frattempo la sua fama d'attore cresce: dopo aver interpretato la popolarissima saga di Angelica ( ma gli tocca il ruolo di un ispettore costretto ad andare a piedi nella Parigi del '600), è l'attore preferito dal regista Bertrand Tavernier ( e per l'interpretazione del film "Che la festa cominci" vincerà il Cesar, l'Oscar francese). Ed è il protagonista - con una memorabile scena a cavallo - del film "Certi piccolissimi peccati" di cui gli americani fecero un remake con il titolo "La signora in rosso". In quel film Rochefort, per conquistare la modella di cui si è invaghito, salta a cavallo una tavola apparecchiata per un pic nic, senza rompere neppure un bicchiere.
Un solo sogno cinematografico gli sfuggirà di mano: nel 2000 viene scelto dal visionario regista Terry Gillian per interpretare Don Chisciotte. Ma una doppia discopatia, e il ritiro di alcuni finanziatori, bloccano la lavorazione a pochi giorni dall'inizio. Gillian rientrerà in possesso dei diritti della sceneggiatura sei anni dopo e il progetto - modificato perché troppo costoso - cambierà interpreti. Resta, a testimonianza di quella mancata esperienza, un documentario del 2002, intitolato "Lost in La Mancha", realizzato da due collaboratori di Gillian, in cui si vede anche qualche scena, interpetata da Rochefort. Nel frattempo Rochefort, gentiluomo ormai ultraottantenne, continua ad essere un fine uomo di cavalli: diventa consulente della televisione francese per il settore dell'equitazione, fonda una associazione senza fine di lucro per l'assistenza ai cavalli maltrattati, nel 2004 riceve la medaglia per meriti agricoli, di cui è profondamente fiero.
A me, che lo intervistavo durante il festival di Venezia dove accompagnava un delizioso film di Patrice Leconte " L'uomo del treno" in cui si racconta del fortuito incontro fra un rapinatore (Johnny Hallyday) e un professore che deve subire un'operazione al cuore, raccontò che imparava e ripassava a memoria i copioni dei film cui doveva prender parte passeggiando a cavallo nei boschi vicino a casa:"nell'armonia che trovo stando con loro, mi si rivelano con chiarezza le intenzioni più profonde del personaggio che devo interpretare ". Chapeau, monsieur Rochefort.