''Istruttori Fise, il nostro paradiso è nell'ippica!''
LETTERA APERTA di Massimo Garavini alla stampa, alle associazioni, agli istruttori tecnici:
DA OGGI sono una categoria. Mi presento. Sono istruttore federale Fise di equitazione da più di trent’anni. Sono stato, prima e contestualmente, cavaliere. Ora sono presidente di un centro ippico, ippobabbo, giudice di equitazione, completo e dressage e tecnico federale. Titoli a parte, sono un lavoratore del comparto equestre in maniera esclusiva e totale. Il che significa che traggo il mio sostentamento dall’attività equestre che svolgo. Il che significa anche, che la mia vecchiaia potrebbe essere molto triste. Perché? Perché il mio lavoro – così come quello di molti colleghi – seppur regolamentato, non risponde ai normali criteri di qualsiasi altra categoria di lavoratori. Non è prevista una cassa pensione, non esiste cassa infortuni e gli unici ammortizzatori che conosciamo sono quelli della nostra macchina.
Si potrebbe obiettare che la nostra potrebbe essere considerata una libera professione… Ma allora, che differenza passa tra un istruttore di equitazione e un maestro di sci? Sì, perché loro invece una categoria con la quale assimilarsi ce l’hanno eccome! Hanno tariffari, mansionari, garanzie a salvaguardia del loro operato e della loro professionalità che così – in qualche modo – viene da un lato stimolata e dall’altro protetta.
Nel caso degli istruttori e dei tecnici di equitazione invece il quadro è piuttosto contraddittorio. Se da un lato ci si aspetta (e anche giustamente) una professionalità eccelsa, una deontologia irreprensibile, una totale estraneità al commercio dei cavalli e a qualsiasi forma di guadagno collaterale, dall’altra si pretende che cotanto professionista sia disposto a calare le braghe facendosi assumere ora come cocco, ora come consulente o quale che sia l’espediente del momento. I centri ippici sono poveri e di contributi ne possono pagare il meno possibile. Si chiede tanto, si da indietro il minimo: una politica che di sicuro non promuove la professionalità.
Questo, la Federazione che ci ha sempre rappresentato non ha mai voluto né vederlo né sentirlo e ne è derivata una dequalificazione fortemente nociva per il nostro lavoro.
Nel corso degli anni, assimilazioni, parificazioni, riqualificazioni, riclassificazioni sono stati solo espedienti politici per creare consenso populistico. Di fatto hanno svilito il valore tecnico dei nostri diplomi.
Ma la vita va avanti. E così, per aggiungere esperienza, qualche mese fa ho sostenuto l’esame di allenatore professionista del galoppo. Ho in pratica gettato il mio personalissimo ponte tra equitazione e ippica. Con mio grandissimo stupore, mi si è aperto davanti agli occhi un mondo.
In qualità della mia recente patente, sono diventato categoria.
A pochi giorni dall’esame, sono stato contattato dall’Unire (!!!), dal presidente dell’Associazione di categoria (Unag) e… dalla cassa previdenziale.
Con un contributo volontario di circa 40 euro al mese posso a tutti gli effetti maturare una pensione. Nel mio caso tardiva, ma decisamente funzionale per chi iniziasse a versare la contribuzione all’inizio della propria carriera.
I cavalli sono sempre a quattro gambe, fantini e cavalieri ne hanno due… Qual è quindi la differenza? Adesso dispongo di due numeri di telefono dedicati degli uffici dell’Unire. Quando chiamo, mi salutano per nome. Prima non riuscivo neppure ad andare oltre al centralino. Forza della categoria! Che tra l’altro è rappresentata, interpellata e ascoltata all’interno dell’Unire, laddove gli istruttori invece non si sa neppure che esistano.
MASSIMO GARAVINi