Il cavallo e il mito, accoppiata vincente
CI SIAMO CHIESTI come mai nell’arte contemporanea l’immagine del cavallo continui a costituire una presenza figurativa costante, benché quasi tutte le iconografie tradizionali siano state travolte dalle Avanguardie storiche prima e dalla pop art poi. L’immagine del cavallo, invece, fin dagli inizi del ‘900 è stata riproposta senza soluzione di continuità, o riacquistando l’empito vitalistico delle origini, come nei cavalli futuristi di Boccioni, o traducendo un aspetto simbolico, come nell’estetica surrealista, o divenendo l’esaltazione di stati emotivi attraverso la forza allusiva del colore, come nel linguaggio espressionista, infine riassumendo il senso di una catastrofe dei valori umani, come nel cavallo picassiano di Guernica.
La sopravvivenza di questa icona millenaria è dunque un dato di fatto e presumibilmente discende dalla ricchezza e dalla molteplicità dei significati che l’uomo ha da sempre trasferito sul cavallo, sul suo mito e sulle sue valenze spirituali.
Esistono artisti che, come Roberto Scardella, sanno individuare nell’ancestrale figura equina un alimento centrale per la propria creatività. Non caotiche deformazioni, né astrattismi o ricerche neo-dadaiste: il cavallo che l’artista ripropone con grande assiduità nelle sue sculture bronzee è l’immagine naturale e riconoscibile, seppure espressivamente rinnovata. Egli reinventa con costruttiva energia il tema del cavallo, asciugato dal superfluo e scavato al comune denominatore di un’inquieta esistenzialità. Superando gratuite dissacrazioni, lo scultore intende riappropriarsi di un passato, quello del mito, che è narrazione drammatica e bellezza figurativa, plasticismo e spazialità, dinamicità ed essenzialità. Cavalli, centauri ed ippocampi fusi a crea persa, costituiscono una galleria di immagini sempre diversa e in movimento, dove lamine bronzee si assemblano e si intrecciano a modellare forme poderose, ritmi avvolgenti, guizzi aerei.
Il mito è per Scardella un punto saldo di riferimento culturale, che lo coinvolge con i suoi contenuti e con il suo fascino metaforico: il furor di un centauro, la leggiadria di una puledra divina, il senso allusivo di un richiamo o di un desiderio divengono stimoli fecondi per un racconto dinamico in cui le forme invadono lo spazio e si concretizzano in esso. Rivelando la seduzione di un’immagine che consente il volo nelle dimensioni dell’immaginario, il cavallo si fa interprete delle più alte aspirazioni umane, ma anche dei desideri più intimi e delle pulsioni inconsce. Tuttavia non il cavallo della tenebra, caro ad Ecate, l’animale psicopompo conduttore nei regni dell’aldilà, ma il destriero collegato agli aspetti solari del mito, come Pegaso, che grazie alle sue ali si trasforma in essere celeste, abitatore degli spazi infiniti.
Un sottile pathos nasce dal luminismo che il bronzo esalta ed i cui effetti moltiplica sulle lamine ora distese, ora ritorte, ora scompaginate come da un turbine vitale, senza che venga mai intaccata l’armonia compositiva della figura. La scelta del cavallo quale simbolo dell’energia creativa è per Scardella un’esigenza legata all’amore per l’eredità classica ed alle sue predilezioni artistiche, ma è soprattutto un’esperienza culturale che deriva dall’essenza stessa del mito. I dinamismi dei suoi cavalli esprimono infatti la forza delle passioni ed i mutevoli intrecci delle forme sembrano riflettere il divenire incessante dell’esistenza.