Il cavallo di ferro, un capolavoro a Vincennes
L’ARTISTA CONTEMPORANEO sa che esiste un mondo di immagini e di segni, quello dei media e della pubblicità, che sembra aver usurpato all’arte figurativa, tradizionalmente intesa, il primato di colpire la fantasia e di suscitare emozioni. Per molti artisti non resta che appropriarsi della stessa prassi del mondo della comunicazione visiva, utilizzandone tecniche e materiali, non già come gesto provocatorio, ma come dato ormai acquisito. Riprendere i problemi impostati dalle avanguardie storiche del ‘900 ed aprirsi alle tecniche extrartistiche significa poter utilizzare le tecnologie più sofisticate (ad esempio, la computer art), ma anche permettere le risorgenze di forme artigianali, in un clima di interscambiabilità dei linguaggi. E’ il caso dell’opera di Christophe Dumont, “Le cheval piaffant” (1997), proprietà dell’Hippodrome de Vincennes, esposta nel giorno della corsa del Prix d’Amérique 2008.
Artista versatile, nato a Parigi nel 1960, scultore, orafo e scenografo, Dumont realizza soprattutto animali ed in modo particolare è attratto dalla figura del cavallo, ideata in mille posizioni ed in differenti dimensioni.
La scultura in ferro di Dumont, a grandezza naturale, riceve il pubblico della corsa francese nel salone dei Proprietari, con le forme ottenute dal sapiente assemblaggio di materiali di recupero: lastre di ferro arrugginite, forconi ed oggetti abbandonati nelle fattorie dei dintorni di Pussay, dove l’artista vive da oltre 15 anni. In “Le cheval piaffant” i materiali di scarto, approntati ad arte, disegnano nello spazio vuoto la linea poderosa di un cavallo, non un animale lanciato nella corsa, come si potrebbe immaginare per una scultura collegata alla gara ippica più famosa di Francia, ma un cavallo che si pavoneggia, alzando la zampa anteriore sinistra, in un elegante atteggiamento da parata. L’opera di Christophe Dumont è un “ready made” in cui i pezzi di ferro, spessi e sottili, levigati, ritorti, curvati, sono stati saldati in maniera solo apparentemente casuale, tale, invece, da modellare con sbalorditiva verosimiglianza la figura di un cavallo. Dalla sua immagine trasparente e priva di sostanza materica, disegnata nello spazio da linee scure, in cui si coniugano leggerezza ed ipotetica fisicità, proviene un senso precario della realtà. Non un cavallo mitico o un rinascimentale destriero, né un moderno simbolo della comunicazione, ma un archetipo pop, lontano dalle raffigurazioni artistiche che il passato ci ha consegnato, fin dalle più antiche civiltà. Il metallo usurato dal tempo crea un effetto di rigidità della struttura plastica, ma nello stesso tempo delinea con cura la silhouette agile dell’animale e, quasi si trattasse di una riproposizione dei cavalli di Lascaux, fa emergere la sintetica espressività di un’immagine primordiale, misteriosa ed inquietante come un reperto archeologico.
L’opera di Dumont si appropria della totale libertà, ormai consolidatasi nell’arte contemporanea, di ricorrere al materiale meno aulico e più povero, come il metallo riciclato. Superato l’impatto d’iniziale spaesamento visivo, il cavallo, di vaga ispirazione picassiana ((pensiamo alla celebre “Capra” di Picasso!), lascia trasparire una naïveté di fondo dello scultore francese che, escludendo qualsiasi tendenza al gratuito o al retorico, privilegia un’arte concepita come attività progettuale e manuale, tesa in primo luogo a comunicare un valore.