Il cavallo bianco e i demoni pipistrelli
QUALE CAVALLO di Gian Luigi Giovanola
Edizioni Ermanno Mori – Museo Storico del Trotto
… Il catatalano Luis Borrassà primeggia tra il XIV e il XV secolo a Barcellona, centro culturale di grande importanza.
Le notizie su di lui sono incerte e fantasiose. Alcuni sostengono che sia nato nel 1360 e morto nel 1426, ma non esistono documenti che lo possano confermare. Documenti certi dicono invece che gli furono commissionati grandi polittici, ma nessuno sa che fine questi abbiano poi fatto.
E’ anche sicuro che per molte delle sue opere ebbe l’aiuto dell’allievo Lluch. Ma aiuto fino a che punto? Dopo la morte del suo maestro, Lluch cominciò a firmare i suoi dipinti con il nome Borrassà, tanto che è difficile stabilire quali opere siano all’uno o all’altro o a tutti e due.
A me piace riconoscere in questa tavola (La crocifissione di Sant’Andrea – ndr) il vero Borrassà nonostante l’esecuzione assai incerta delle mani della donna inginocchiata che certamente non sono opera sua.
Tutta la realizzazione, a mio avviso, esprime una personalità fuori del comune. Si tratta di un dipinto di difficilissima impostazione. Il Santo morente è legato a una croce conficcata orizzontalmente nel terreno. I fedeli gli si serrano intorno pregando, mentre dalla parte opposta – quale elemento equilibratore – un cavallo bianco si volta a guardare sgomento la malvagità degli uomini. Il suo cavaliere, che senza dubbio è uno dei responsabili della crocifissione, viene colpito persino da due demoni pipistrelli, uno rosso fuoco e l’altro, appena visibile, nero su fondo nero, che afferra il collo del malcapitato con l’intento di torcerglielo. Il cavaliere cerca di non cadere, sorreggendosi alla quale del povero Andrea il quale ha il braccio sinistro molto più lungo del destro.
Forse di questo “errore” il lettore non si è accorto. Eppure basta ruotare la figura, riportando il crocifisso sulla verticale, per rendersene conto. Forse che il pittore non ha saputo misurare i bracci della croce e le braccia del santo? Ho il sospetto che non sia così e che l’errore sia stato calcolato con precisione per sollevare maggiormente dal suolo la figura di Andrea e per rendere, con felice intuizione prospettica, la percezione della realtà. Perché anche qui vale la legge che noi vediamo le cose come appaiono e non come sono.
L’invenzione della testa del cavallo bianco girata all’indietro suscita un sentimento di commozione e di pietà più degli sguardi attoniti degli oranti o della giovane inginocchiata ricoperta da un sontuoso mantello rosso. Se proviamo a nascondere il cavallo bianco, infatti, togliamo in parte il senso di un dramma sacro che rivive il supplizio divino. E’ lui, il cavallo bianco, l’accentratore della nostra attenzione, lui che con il suo atteggiamento sembra esprimere uno stupore doloroso più intenso di quello umano, mentre l’altro cavallo, rosso terra, rimane seminascosto, quasi assorbito dal colore di fondo, per non incidere sugli equilibri della scena.