Girando per Fieracavalli una mattina di autunno...
A Fieracavalli si va. Ci si va e basta. Senza aspettative, con tante aspettative. Non è importante. E quando si è lì, ci si lamenta: è sempre uguale, ci sono troppi cavalli, ce ne sono troppo pochi, c’è tanta gente, non ce n’è più così tanta. Ma ci si torna, ogni anno, guidati da una forza sottile che trascina nella folla, tra i diversi padiglioni, anche se sono sempre gli stessi.
E’ mattino presto e al Salone del Cavallo Arabo, Iberico e Frisone siamo ancora pochi, si cammina facilmente fra i banchetti commerciali e non c’è ancora la musica assordante. Mi addentro in un corridoio laterale e vedo un bellissimo esemplare Pura Raza Española già bardato per lo spettacolo. Il jinete - così si chiama il cavaliere della monta vaquera – è in sella e le sue mani sono occupate ad allacciare i bottoni del tradizionale costume. Le redini sono appoggiate sul pomo e il cavallo è libero di rilassarsi. Eppure rimane immobile nell’innaturale posizione della testa a punto di domanda, iperflesso. Per “tradizione” ha la coda mozza che sembra voler nascondere dalla vergogna e il muso addobbato con il mosquero, che impedisce una visione chiara. Ha l’occhio vitreo e lo sguardo rivolto nel vuoto. Rimango pietrificata ad ascoltare il dolore silenzioso di questo maestoso destriero ormai incapace di distendere l’incollatura in un momento di pausa e pronto a scendere in campo per gratificare l’ego del suo fiero cavaliere. Mi allontano sentendo nelle orecchie quasi una richiesta di aiuto e mi avvicino al campo in sabbia. Stanno entrando altri cavalli per il riscaldamento prima della competizione. Lo sguardo è catturato da un altero frisone cavalcato all’amazzone, madido di sudore e con la schiuma bianca alla bocca. Indifferente, l’amazzone continua con le richieste di passo spagnolo mentre il suo lungo vestito scuro che cade sul dorso e sul lato del cavallo non basta a nascondere lo stato d’ansia di cui è già pervaso lo stallone. Di nuovo mi allontano incapace di rimanere a guardare tanta sofferenza ed entro nel corridoio dove si trovano gli Akhal Teke, una delle più belle e antiche razze equine. I “cavalli celesti” con la criniera cortissima e il pelo dai riflessi dorati, capaci di correre centinaia di chilometri sotto il sole del deserto senza bere acqua sono qui, chiusi in una scatola. Li puoi vedere solo da dietro le sbarre e quando ti avvicini, rimangono con il muso abbassato e le orecchie tirate indietro. Mi chiedo se siano intenti a mangiare il fieno o a sottrarsi alle mani brulicanti dei visitatori che vogliono toccarne il muso, o a difendersi dal rumore che inizia a farsi battente. Non voglio vedere altro, esco e mi dirigo verso il padiglione del Western Show. I finalisti dei Campionati Europei di Pole Bending sono in fila nell’arena mentre nell’aria risuona l’Inno di Mameli. Quando escono dal campo per prepararsi alla gara, i trattori spianano la sabbia e giudici impettiti tracciano una lunga linea per terra con il metro a nastro lungo la quale posizionano, a distanza regolare, i pali per la gara. Il “cavallo motocicletta” non m’interessa così esco e vado al padiglione di Italia Alleva. E’ in campo un Carosello di cavalli Murgesi che, guidati dai loro cavalieri, si rincorrono e s’incrociano nell’arena. E’stato lo spettacolo più divertente di quest’ ultima mattina in fiera, perché ognuno di questi cavalli durante le riprese cercava la compagnia del suo simile. Chi cercando di mordicchiare quello davanti, chi cercando di raggiungere o di appoggiarsi a quello più vicino rompendo le fila e l’armonia della coreografia, ma tutti nel tentativo di sottrarsi alla mano del cavaliere per riguadagnare il diritto e la libertà di essere solo cavallo.