Addio a Molteni, il principe dei gentlemen
Battersi fino all’ultimo con impegno e passione, i cavalli nel cuore, la voglia di emergere e primeggiare su tutti, negli anni della giovinezza e anche dopo, un solo obiettivo da raggiungere: le 1000 vittorie. Pinuccio Molteni il principe dei gentlemen italiani se ne è andato nella sua Varese (era del 1929) lasciando nei ricordi una carriera da sogno, il numero dei successi in primo luogo, ma anche tanta signorilità, modi garbati, stile e classe nel montare e una foga, un impeto, che lo mise presto in luce tra i cavalieri del suo tempo, una generazione di fenomeni beninteso, Carlini a segnare il cammino e poi Speroni, Remmert, Clemente Papi e Gignous e Palvis, l’amico-rivale, e Zaini e altri ancora tutti sbocciati negli anni 50 e 60, come assi della categoria.
Il suo per i cavalli era un trasporto irresistibile, un innamoramento che lo tenne prigioniero fin dall’adolescenza, i viaggi alla ricerca di monte in giro per l’Italia, da Foggia a Merano, la prima affermazione attesissima nel ‘47 a San Siro, e poi le sfide d’agosto nei pomeriggi infuocati sul verde delle Bettole, lui e Palvis, lui e Ferrini, lui e Papi, e naturalmente Zaini e Macchi che erano di casa sull’anello alle falde del Sacro Monte. Un legame durato, si può dire una vita, un sentimento di devozione assoluto, il continuo ricercare quel contatto fatto di rispetto e d’amore verso i purosangue amici sinceri di cui ripeteva, ti puoi ciecamente fidare, un modo bellissimo per lasciarsi sedurre e non avere rimpianti.
Era in sella a Milano coi suoi portacolori e poi via di carriera sull’Alfa, che non lo abbandonava mai, verso Livorno quando la stagione esplodeva sulle rive del Tirreno, calura, luci, dame abbronzate e smaniose di farsi notare, l‘Ardenza nel suo più eccitante splendore. Via alla caccia ininterrotta di nuove vittorie perché quell’entusiasmo che lo divorava non si spense nemmeno quando gli amici timidamente gli suggerirono di smettere per via dell’età e di un traguardo che sembrava follia voler raggiungere, in cima all’Everest, lassù dove nessuno era mai arrivato e dove nessuno mai lo seguirà. Ma lui non voleva starci, Pinuccio era tosto, caparbio, incrollabile, risoluto nei suoi propositi, Pinuccio sapeva dove arrivare e come i marinai di Ulisse si turò le orecchie ad ogni ammonimento e tirò dritto nel suo proposito giungendo alla meta tanto ambita nel 2004 in sella a Mit Club.
I suoi cavalli poi, Vioz, Walid, Lucchesi, la giubba gialla con la croce di Sant’Andrea color caffè perché quello era il segno di Tesio, la classe e la qualità insuperabile, l’orgoglio del nostro turf, come Molteni tra i gentlemen, in fondo, protagonista a tutto tondo di un’epoca svanita per sempre.