Roma, 24 Gennaio 2021
di Patrizia Carrano
La stampa lo ha chiamato "Cinderella horse", il cavallo Cenerentolo. E ne ha seguito la storia per molti anni, dal suo inaspettato exploit nella disciplina del salto ostacoli fino alla morte, avvenuta in tarda età, per insufficienza renale. Chi era? Dove è vissuto? Quale film ne racconta le gesta? E' presto detto: il cavallo era un grigio sottratto al mattatoio, chiamato Snowman (pupazzo di neve) per via del suo mantello. E la sua storia è davvero una favola.
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I cavalli come guest star. Come personaggi di grande statura attoriale, ma senza un ruolo di protagonisti assoluti. Cavalli che interpretano un "cameo", come dicono gli americani. Presenze di rango che danno il là alla storia, e si conquistano un'attenzione privilegiata.Non avete idea quanti ce ne siano nelle cinematografie di tutto il mondo. E allora ricordiamone qualcuno. Partendo proprio dal cinema italiano. ...
Mai mi era accaduto, nella mia lunga vita di spettatrice cinematografica e di amazzone amatoriale, di incontrare a distanza tanto ravvicinata due film sul rapporto fra uomo e cavallo così belli, dolenti, densi e significativi. E dunque, dopo aver dedicato la scorsa rubrica a "Driver, il sogno del cow boy", della regista cinese ma naturalizzata americana Chloè Zhao, eccomi qui a parlarvi di un film di prossima uscita "The Mustang", di grande potenza espressiva.
Chi ama il cinema e i cavalli non può perdere questo film, appena uscito in Italia. Un film che ha tempi lenti, lunghi silenzi abitati, che non ha nulla di roboante nonostante si occupi della difficile esistenza di un campione di rodeo. Ma che inchioda lo spettatore a seguire l'odissea del protagonista, sbalzato di sella e operato alla testa prima ancora che la storia abbia inizio....
Avevo in mente di destinare la rubrica di agosto a un film su un grande campione di galoppo che ha infiammato gli ippodromi americani. Ma la vicenda dell'orso M49 mi ha portato su altre rotte. E dunque il film di questo mese è "Il cavaliere elettrico" di Sidney Pollack. Protagonisti Robert Redford, Jane Fonda e Rising star, un meraviglioso galoppatore ritirato dalle corse per diventare il logo vivente di una grande industria alimentare, la Ampco.....
Un colpo di fulmine. Scoccato quando aveva trent'anni e durato fino al suo ultimo giorno di vita. Una passione che ha influenzato il suo lavoro, che lo ha indotto a girare un piccolo film documentario su una ragazza appassionata di equitazione intitolato "Rosine"; che gli ha fatto scrivere un libro sui cavalli raffigurati nelle opere d'arte esposte al Louvre; che l'ha trasformato in un apprezzatissimo allevatore, e in un buon cavaliere. Una passione che - a suo dire - ha influenzato, o meglio raffinato, la sua sensibilità di interprete: "Dai cavalli ho imparato a non fare troppo, e a muovermi con compostezza. Ad essere un attore migliore".
Giugno, mese di pagelle. E dunque torniamo a mettere sotto esame gli attori che montano. Questa volta tocca agli attori d'oltreoceano. Difficile trovare un attore americano che non abbia interpretato un film a cavallo, sia un western, un film storico o semplicemente d'avventure. C'è solo la difficoltà della scelta: cominciamo allora con un aneddoto che riguarda Robert De Niro, protagonista di un film ambientato nel 1600: Mission.
C'è un patto inevitabile fra il cinema e lo spettatore che sa di equitazione: per godersi un film che tratta di cavalli agonisti occorre lasciarsi trascinare dall'intreccio e non badare troppo alla credibilità dei particolari tecnici. Di solito i registi non sono esperti di cavalli, i consulenti sono spesso rozzamente impreparati, gli attori protagonisti se la cavano alla meno peggio in sella ed è giocoforza ricorrere alle controfigure.
Questa volta ci si dà all'ippica. E si propone una accoppiata che unisce due film dedicati a due straordinari campioni del galoppo, due sauri indimenticabili: i loro nomi sono Phar Lap e Secretariat. Forse del primo sono in pochi ad averne memoria, perchè la sua vicenda si è dipanata nell' Australia degli anni '30.
Arriveremo rapidamente al film di cui parlare, ma prima consentitemi di inquadrare il tema. Entro il 27 dicembre del 2018 il nostro governo doveva emanare dei decreti legislativi per rendere operante la legge 175 approvata nel novembre dell'anno precedente che riguardava " il graduale superamento dell'utilizzo degli animali" da parte dei circhi e degli spettacoli viaggianti. Ma nessun decreto è stato approvato e dunque quella legge ( del tutto inadeguata ma pur sempre da considerare un primo passo) è decaduta. E così occorre ricominciare da capo...
Primi del '900. Negli Stati Uniti il giornale "The Western press" organizza una gara di resistenza di settecento miglia, lungo la Western States Trail, un percorso che ricalca quello degli storici Pony express. Una prova massacrante per uomini e cavalli, di quelle che oggi chiameremmo Endurance.Negli stessi anni, in Medio Oriente ha luogo un'altra terribile corsa a cavallo, chiamata "Oceano di fuoco" perchè si svolge su un percorso di tremila miglia in mezzo al deserto dell'Iraq e della Siria. A questa gara solitamente riservata agli stalloni arabi....
Più di venti avventure cinematografiche, fin dai tempi del cinema muto. E poi fumetti, serie televisive, persino un film intitolato "Barbie e le tre moschettiere": i quattro formidabili personaggi creati da Dumas, ovvero Athos, Portos, Aramis e il guascone D'Artagnan hanno una tale vitalità che a quasi duecento anni dalla loro nascita (il libro è ambientato nella Francia del '600, ma è uscito nel 1844 come romanzo d'appendice sul giornale Le Siécle") ancora oggi dicono la loro. E dunque eccoci a parlare del film uscito appena dopo Natale e intitolato "I quattro moschettieri: la penultima missione" di Giovanni Veronesi.
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