Roma, 23 Gennaio 2021
di Patrizia Carrano
Lo replicano per lo meno due volte l'anno nelle più diverse reti televisive. Si intitola Il destino di un cavaliere ed è un azzeccato esempio di quel cinema d'avventura che racconta le gesta dei cavalieri medioevali. E - naturalmente - dei loro cavalli. Cosa rende Il destino di un cavaliere un film particolarmente riuscito? Non solo il ritmo, i costumi, l'intreccio ma anche l'intuizione - storicamente fondata - che i tornei cavallereschi fossero nel medioevo un'attrazione simile ai concerti rock di oggi.
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Giugno, tempo di pagelle. E allora diamo un po' di voti (scherzosi ma non troppo) agli attori del nostro cinema che abbiamo visto a cavallo nei film del secondo dopoguerra. E' vero che nelle scene più complicate di solito si usano le controfigure. Ma è altrettanto vero che il pubblico ha ormai uno sguardo smaliziato e che preferisce vedere in sella il vero protagonista.
"Dammi retta, non ti affezionare mai a un cavallo. I cavalli, quando non possono più correre, non valgono un cazzo per nessuno". Questa battuta, che usa un linguaggio fuor di metafora, illustra la crudele regola di vita che presiede al mondo delle corse dei piccoli circuiti statunitensi ( ma questa realtà riguarda tutto il mondo). Ed è la raccomandazione che una fantina ripete maternamente all'artiere Charley Thompson, quindicenne senza famiglia che si è affezionato a un quarter horse di cinque anni, sbattuto a gareggiare nelle corse sui centocinquanta metri...
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