Fieracavalli: Federico Forci ed i suoi cavalli
Fieracavalli è un appuntamento a cui non si può proprio mancare. Si possono fare commenti, critiche, paragoni con il passato, formulare proiezioni per il futuro, ma, alla fine, non si può non andare. E l’emozione che si prova è sempre la stessa – e ogni volta come fosse la prima – ad arrivare, trovarsi all’ingresso e sapere che si mette piede in un luogo magico, si entra in un grande cerchio al cui interno si potranno incontrare, vedere, ascoltare le cose più diverse, ma la certezza è che tutte avranno in comune la passione per il cavallo. Indiscutibilmente.
Che ha mille forme, mille modi diversi di essere vissuta, comunicata, tramessa: dal reining al salto, dal dressage alle competizioni di monta da lavoro, dai butteri all’alta scuola, dal volteggio agli attacchi e l’elenco sarebbe lunghissimo. Ce n’è per tutti i gusti, e quello che si può fare è lasciarsi rapire dall’atmosfera e guardarsi intorno come se si fosse nel paese dei balocchi, perché si tratta di una situazione davvero unica e che non troverete da nessun’altra parte.
Quando si ha a disposizione una sola giornata però conviene anche dare un’occhiata al programma, fittissimo di eventi, gare, esibizioni, e scegliere quelle a cui proprio non si vuole rinunciare.
Uno di questi per me era l’esibizione di Federico Forci e dei suoi “cavalli in libertà” che volevo assolutamente vedere, oltre al piacere di salutare un vecchio amico.Ci lega con Federico una storia familiare: mio padre era amico di suo nonno, il mitico Fernando, di cui ricordo molto bene anche io il fascino, e di suo padre Giorgio. È nato fra le gambe e sulla groppa dei cavalli Federico, è nipote e figlio d’arte e quando questo mestiere, e questa passione, ce l’ha nel sangue c’è poco da fare: non puoi sfuggire. Federico è cresciuto coltivando l’amore per i cavalli e facendo del dialogo con loro un modo di relazionarsi e di lavorare.
Siamo nel padiglione 2 (dedicato alle razze italiane) e, dopo una bella esibizione di butteri e di vacche maremmane, è il momento di Federico; la speaker chiede al pubblico di allontanarsi leggermente dalle transenne perché i cavalli che andranno ad esibirsi saranno liberi.
Non fa in tempo a finire questa raccomandazione che entra in campo al galoppo il primo dei tre maremmani con cui Federico dialogherà per il suo numero: M. Silvan delle Murelle, M. Andante e M. Falco della Maremma. Che poi forse non è coretto chiamare così questa esibizione perché c’è dietro tantissimo lavoro certo, ma di prefissato – lo si capisce subito – non c’è molto, se non la “relazione”. Che cosa significa entrare in relazione con il cavallo? Come chiedergli di avvicinarsi per eseguire insieme qualcosa? Sono i cavalli stessi a mostrarcelo, senza possibilità di dubbio.
I tre cavalli infatti sono liberi di esprimersi, e mentre Federico richiama la loro attenzione, loro interagiscono non solo con lui ma anche fra di loro e perfino con il pubblico, accostandosi via via a qualcuno in cerca di una carezza, o di una caramella, ma è un attimo, subito è forte il richiamo del branco e la richiesta di su di sé da parte del loro umano preferito. E qui si vede la libertà: nella possibilità di esprimere anche la gelosia, che spinge l’uno o l’altro a raggiungere la posizione più vicina a Federico, o ad arrivargli accanto per primo. Dopo il lavoro a terra Federico sale a pelo su uno dei cavalli, senza sella, senza imboccatura né cavezza, ma nulla cambia nel modo di interagire: il dialogo continua. Anche quando fanno il loro ingresso in campo due cavallini di Monterufoli, una antichissima razza toscana che ha rischiato di scomparire.
Buona parte del merito della conservazione di questi piccoli e tenaci amici la si deve all’Associazione del Cavallino di Monterufoli e ad alcuni appassionati: grazie a loro i soggetti sono passati da 59 censiti nel 1990 a circa 350 oggi. Il territorio di origine di questa antica razza è la riserva naturale Monterufoli-Caselli e deriverebbe da una razza selvatica oggi estinta chiamata “Razza di Selvena”.Questi cavallini, piccoli e molto resistenti, erano tradizionalmente impiegati per gli attacchi, famoso l’utilizzo con il calesse per i medici condotti e le famiglie, aiutavano inoltre i boscaioli a smacchiare le selve attraverso i sentieri stretti e scoscesi e anche nei lavori dei campi. Oggi il cavallino di Monterufoli è considerato un “pony italiano” a tutti gli effetti – la sua altezza al garrese va da 135 a 145 centimetri – e i suoi utilizzi sono molteplici.Sono cavallini brillanti, dalle andature vivaci e il piede sicuro, inconfondibili grazie al loro mantello morello e alla folta criniera. Docili, mansueti e versatili sono utilizzati anche per l’ippoterapia, ma ottengono ottimi risultati anche nel dressage, nell’endurance, negli attacchi e nel salto ostacoli.
Ma torniamo a Federico, e allo spettacolo che si sta svolgendo davanti agli occhi meravigliati di un pubblico numeroso, silenzioso e attento. Sono cinque i soggetti in campo in questo momento, più un umano. La comunicazione è chiara, diretta, non verbale, fatta di sguardi, di movimenti del corpo, di un linguaggio codificato dall’abitudine a stare insieme, a passare il tempo osservandosi e interpretandosi. Il cavallo è un animale che ama relazionarsi con gli altri, cercare il suo spazio, esprimersi, e questo, purtroppo, non sempre gli è permesso. Bellissimo invece vedere che, pur in un ambiente a loro estraneo, pieno di stimoli anche molto fastidiosi come luce artificiale, musica, rumori, colori, odori del tutto nuovi, questi cavalli si sentono talmente a loro agio da rotolarsi a terra, per poi alzarsi e con una bella scrollata ricercare il contatto – visivo e corporale – con gli altri e con Federico.
Si conclude con una galoppata di gruppo, in cui l’elemento umano potrebbe essere un altro cavallo, o forse confondersi con il corpo di quello che sta montando: un confine di specie non c’è. C’è una connessione, che passa come elettricità tra i corpi dei cavalli e quello di Federico per arrivare fino al pubblico che ne percepisce con forza l’emozione.
Ed è questo che resta sulla pelle di tutti quando questo branco di sei creature (cinque equine e una umana) lascia il campo: sulla pelle resta l’emozione. Una scossa che passa leggera e che ci fa sentire connessi: con la terra, con i cavalli, con la parte più profonda di noi stessi.Sulle note de “La cura” di Franco Battiato (“avrò cura di te, perché sei un essere speciale”) Federico e i suoi cavalli escono di scena, ma la magia resta.Una magia davvero unica che i cavalli sono in grado di sprigionare, naturalmente per chi la sa interpretare, leggere e accogliere: connetterci con il lato emotivo ed emozionale che, bombardato da tanti stimoli, ormai non siamo più abituati a sentire. Un’esperienza che tutti dovrebbero provare, consiglio di partire vedendo lavorare Federico Forci con i suoi cavalli.